Apocalisse di Lepage: «La realtà ha superato il “1984” di Orwell»

Intervista al fondatore del Cirque du Soleil, regista dell’opera diretta da Maazel, da domani alla Scala

Ama l’azzardo ed è allergico alle convenzioni. È attore, drammaturgo, regista di cinema, teatro e opera, ma anzitutto è un rivoluzionario della scena: reinventata. È Robert Lepage, l’artista canadese (1957) che ha firmato le iperboli del Cirque du Soleil, ha affrontato i classici, Shakespeare incluso, e creato spettacoli nuovi di zecca che mai passano inosservati. Lavori dove riversa l’attrazione per il linguaggio del corpo e la passione per la cultura audiovisiva, cinematografica e televisiva.
Il direttore d’orchestra e compositore Lorin Maazel pensò proprio a una regia «alla Lepage» quando decise di comporre un’opera tratta da 1984, il romanzo di Orwell poi diventato melodramma: battezzato tre anni fa a Londra e da domani sera alla Scala. Come tutte le creazioni di Lepage, anche 1984 ha preso forma nella Caserne Dalhousie di Québec City, ex caserma dei pompieri convertita in un moderno centro di produzione dove i mattoni in cotto, le scale a spirale, torrette e sirene, convivono con una macchina scenica d’avanguardia a completa disposizione di Ex Machina, la compagnia multidisciplinare di Lepage. Che ci parla di 1984 proprio dalla Caserne.
Come è nato l’incontro con Maazel?
«Ero a Madrid quando ricevetti una telefonata di Maazel. Mi parlò con entusiasmo di un’opera ispirata al romanzo di Orwell. Da artista maturo qual è, espose in modo estremamente chiaro la sua visione di 1984».
E lei ne fu conquistato...
«La considerai una grande intuizione. Ero poi solleticato dall’idea di poter veder crescere un’opera a stretto contatto con librettisti e musicista».
1984 è quindi il frutto di un lavoro di squadra...
«Con dei picchi durante i giorni spesi tutti assieme a New York e in Virginia. È stato interessante confrontare le diverse competenze».
Ricorda momenti particolarmente esaltanti?
«L’ultima settimana, in coincidenza con le prove d’orchestra, lì nacquero ulteriori idee per la scena di 1984».
Segue un altro suo lavoro tratto da Orwell...
«Sì, La fattoria degli animali, testo che è una critica spietata al comunismo. Questa componente la si ritrova anche in 1984, ma non è predominante. Qui il tema è la presenza di un controllo superiore, quello che Orwell prefigurava già negli Cinquanta, pur in modo ottimistico».
Come sarebbe a dire ottimistico?
«La situazione d’oggi, alla fine, è peggiore rispetto a quella messa in conto nel romanzo. Oggi il Grande fratello, che tutto osserva e vaglia, non corrisponde forse alle migliaia di telecamere sparse nel mondo?».
Con 1984 è riuscito a sfruttare le potenzialità della sua compagnia?
«In parte. Una volta uscita dalla Caserne, 1984 è stata adattata prima al Covent Garden e ora alla Scala».
Eppure la Scala è fresca di lavori di riammodernamento...
«È pur sempre un teatro di tradizione. Si sta lavorando molto bene, comunque. Io potrò seguire solo le ultime repliche, i miei collaboratori assicurano che alla Scala sono estremamente collaborativi».
A quando le prossime regie operistiche?
«Nel 2010 lavorerò al Ring di Wagner al Met di New York dove in autunno riprendo La Damnation de Faust mentre il Covent, in estate, ripropone la Carriera di un libertino. Sto poi pensando a Le Rossignol di Stravinskij».
L’opera non esercita grande attrattiva sui giovani. Perché?
«Prima cosa, i biglietti dovrebbero essere più accessibili. Poi, se la musica non ha età, il linguaggio della messa in scena deve essere invece rinnovato, i registi dovrebbero essere più aperti e consapevoli della nuova cultura dell’immagine. Con questo non dico che l’opera debba trasformarsi in cinema».


1984 non è piaciuta alla critica londinese...
«A Londra si vedono poche opere contemporanee, quindi non c’è una grande sensibilità in questo senso. Poi non è stato gradito il fatto che Maazel abbia in parte pagato di tasca propria il suo lavoro».

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