Appello a Berlusconi: via la tirannia fiscale

L’Italia è prigioniera delle tasse. È ora di liberarla. Ma per riuscirci dobbiamo tagliare con le stesse forbici aliquote e spesa pubblica. Non possiamo più permetterci lo Stato-mamma che dice di sì a tutti

Appello a Berlusconi: via la tirannia fiscale

Un’automobile im­­perfetta sbanda a sinistra o a destra. L’Italia, che oltre a essere imperfetta è vec­chia e inaffidabile, sban­da di qua e di là. Guidarla è un dramma. Lo sapeva anche Mussolini. Biso­g­nerebbe fermarla e rico­struirla, specialmente nelle parti più usurate: il Mezzogiorno. Ma un Pae­se non è una macchina e va riparato in corsa. Un’impresa difficile, se non impossibile, in cui Silvio Berlusconi si deve cimentare nell’interesse di tutti, anche il suo. Il primo pezzo da siste­mare è il motore fiscale, il più importante e il più scassato: gira a vuoto e consuma troppo, impe­dendo alla democrazia di essere tale.

La verità è che la nostra ormai è una ti­rannia fiscale. Basti pen­sare che un cittadino one­sto, ligio alle norme, tra imposte dirette e indiret­te versa allo Stato- si è cal­colato - il 74 per cento del proprio reddito. Dire che è necessario e urgente ri­mediare a simile ingiusti­zia è il minimo. Ingiusti­zia doppia, peraltro, in quanto molti contribuen­ti, col pretesto di difender­si dalla vampiresca Agen­zia delle entrate, eludono le tasse o, peggio, le eva­dono parzialmente se non completamente. Ri­sultato: gli italiani si divi­dono in due categorie; i fessi a reddito fisso, che vengono strangolati alla fonte, cui si aggiungono gli autonomi fedeli alla di­sposizione, fessi anche questi, e i furbi che di riffe o di raffe si sottraggono al loro dovere. Le casse dello Stato, in ogni caso, ricevono poco rispetto a quanto poten­zialmente potrebbero.

Storia vecchia, obietterà il lettore. Già, vecchia, ma sempre attuale per­ché mai nessuno è stato capace di rimediare al guasto del sistema ovve­ro costringere i furbi a es­serlo un po’ meno, con­sentendo ai fessi di esser­lo un po’ meno. Manca l’equità. Va precisato che gli evasori sono invisibili per definizione; scovarli non è una operazione semplice perché sono bravissimi a nasconder­si, più bravi di chi dovreb­b­e identificarli e castigar­li. Gli italiani leali, e quelli obbligati a esserlo per­ché non dispongono che della loro busta paga, ven­gono spremuti più del le­cito perché devono versa­re anche la parte di chi non versa affatto. Che fare? La regola nu­mero uno è abbassare le aliquote, cioè la percen­tuale del prelievo sui red­diti. Più basse sono e più bassa è la quantità degli evasori, i quali ragionano in questo modo: rubare dieci vale il rischio di farsi beccare, rubare uno non conviene. Meglio metter­si in riga. Va da sé che ri­durre di punto in bianco le aliquote è come lanciar­si dall’aeroplano senza paracadute sperando di cavarsela. Lo Stato si ritro­verebbe il primo anno con meno soldi e con una spesa immutata. Inevita­bile un disavanzo mo­struoso che, considerato il debito pubblico (tra i più alti del mondo), com­porterebbe una sorta di fallimento, del tipo gre­co, per intenderci.

La quadra si ottiene sol­tanto se con le stesse for­bici con cui si tagliano le tasse si taglia anche la spesa. Si fa in fretta a dirlo, non a farlo. Perché ad ogni sforbiciata corrisponde un grido di dolore di chi ne subisce le conseguenze. E se un grido si sopporta, cento, mille grida suscitano invece un casino in-fernale: scioperi, manifestazioni di piazza, sommosse e addirittura sovvertimento del potere costituito. Il terrore di ogni governante, inclusi Berlusconi e Tremonti, è rompere la pace sociale e perdere consensi, indispensabili alla maggioranza per rimanere in sella anche la prossima legislatura. Eppure ci sono spese che il nostro Paese, dato l’andazzo economico nazionale e internazionale, non può permettersi se non incrementando il deficit annuale e il debito complessivo, da finanziarsi coi Bot. Ciò che si impone è la rinuncia allo Statomamma che provvede a tutto, e tutto gratis, per tutti. Scusate il bisticcio, ma era utile alla sintesi. In Germania, alla quale anche la sinistra guarda con ammirazione, si va in pensione a 67 anni. Noi ci andiamo minimo 7 anni prima, se abbiamo lavorato 40 anni.

Quanto ci costa questo privilegio? D’accordo che la Previdenza è già stata ristrutturata, dicono i sindacati e il ministro del Lavoro. Ma c’è modo e modo di aggiustare. E se le aspettative di vita si sono allungate, e non si è accorciato il periodo di godimento dell’assegno, addio. Si buttano soldi. E noi ne buttiamo. La sanità. I costi in dieci anni sono pressoché raddoppiati. Segno che è stata mal gestita. Cura i sani meglio dei malati. I ricchi meglio dei poveri. Medicine gratis a chiunque. Ticket irrisori. Medici di base di manica larga. Assurdo. Scuola. Si diceva che tre maestre per classe erano uno sproposito. Il ministro Mariastella Gelmini si è fatta in quattro per comprimere gli oneri. Ma le maestre sono rimaste tre. Il bilancio dello Stato è un oggetto misterioso. Non lo ha mai compulsato alcun governante nella parte analitica, da cui si evince dove finiscono i nostri quattrini. Nel ginepraio dei conti c’è uno spreco ad ogni voce. Un colpo di cesoie qui e uno là servirebbero a recuperare miliardi. Chi osa farlo? Tremonti ha fatto tagli orizzontali al momento della crisi. Ovvio. Non aveva tempo per usare il bisturi. Ma è arrivata l’ora di entrare nel merito di ogni cifra.

Avete presente i finanziamenti a fondo perduto alle aziende? Quali aziende? Segreto. Recuperare 30 o 40 miliardi anche qui sarebbe un gioco da ragazzi. Non lo si fa per paura di sollevare polveroni. Ecco, la paura di scontentare qualcuno domina l’Italia. Paura di abolire gli ordini professionali. Paura di abolire il valore legale dei titoli di studio. Paura di cancellare gli enti inutili, le Province, le Comunità montane, i consorzi, i contributi a questo e a quello. Le Regioni e i Comuni fanno ciò che vogliono. Chi controlla? Le prefetture sono state immiserite e mortificate. Un tempo filtravano qualsiasi delibera. Se la copertura finanziaria era dubbia, bocciavano. Oggi tirano a campare, impedite a svolgere le loro originarie funzioni. Ogni anno lo Stato brucia quasi 800 mi-liardi in stipendi, regalie, welfare di lusso. Possibile non ci sia un ministro che si metta lì con gli occhiali sul naso a verificare dove e come risparmiare? Suvvia, non veniteci a dire che gli interventi pubblici siano stati ridimensionati. Lo Stato ci soffoca con la dittatura del timbro e della carta bollata. La burocrazia è ingombrante. Ma i servizi non sono all’altezza del prezzo che sborsiamo per mantenerli in vita. Berlusconi forse ha ragione. Se aspettiamo a tagliare le tasse fino a quando non si sia tagliata la spesa pubblica, campa cavallo.

Se le tagliassimo subito, poi non ci sarebbe santo: saremmo obbligati, per non schiattare, a limare le uscite. Lo si faccia, perdio. Altrimenti creperemo lo stesso dopo una lunga e tormentata agonia.

Serve coraggio e un pizzico d’incoscienza: governare pensando alle prossime generazioni, non alle prossime elezioni. La missione non è durare, ma fare il bene del Paese, risanarlo. E se strada percorrendo succedesse di indispettire qualcuno, pazienza. Ce ne faremmo una ragione.

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