Aprile ’44, la Liberazione di Simenon

Nell’aprile del 1944 Georges Simenon mise la parola fine a un libro strano, una dichiarazione d’intenti quasi, oppure una sorta di manifesto per gli anni a venire: i suoi, naturalmente, perché di quelli degli altri non si era mai interessato. La Seconda guerra mondiale e l’occupazione tedesca non avevano portato grandi cambiamenti al ritmo del suo lavoro: sette inchieste di Maigret, una dozzina di romanzi, erano lì a testimoniarlo, ma era il clima a essere completamente mutato. Come molti scrittori, Simenon aveva continuato a pubblicare, accettando così l’autorità nazista nel campo dell’editoria, aveva fatto parte di giurie letterarie, venduto i diritti di molte sue opere alla Continental, la casa di produzione tedesca che aveva monopolizzato la cinematografia francese, partecipato a qualche cena ufficiale, frequentato confrères più entusiasti di lui nel loro fraternizzare con l’occupante... E poi c’era il problema rappresentato dal fratello minore, Christian, che in Belgio era stato un membro del Rexismo, il movimento fascista che aveva abbracciato la fortuna prima, il disastro poi, di Mussolini e di Hitler.
Un pomeriggio, un gruppo di partigiani si era presentato minaccioso nella casa in Vandea di Georges. Boule, la fedele domestica e amante, aveva detto che non c’era e lui, nascosto dietro una siepe del giardino, quella sera stessa aveva fatto fagotto, nascondendosi per un paio di giorni in un granaio. Erano tempi terribili e la giustizia viaggiava nella canna dei mitra. Simenon non era stato un «collaborazionista», se non come quella stragrande maggioranza di francesi alle prese con un governo di Vichy, legittimo, ma ostaggio dei tedeschi, una zona occupata e un esercito straniero sul suolo nazionale... Asociale, anarchico e individualista, il patriottismo gli sembrava una stupidaggine, il comunismo un’assurdità e se avesse dovuto combattere per qualcosa o per qualcuno, sarebbe stato soltanto per sé e i suoi: se l’umanità voleva scannarsi, non si sarebbe immischiato. Non era utilizzabile, insomma, né pro né contro: ma adesso che la guerra era alla fine e cominciavano le epurazioni, non essersi schierato era un lusso, cioè una colpa, di cui qualcuno avrebbe potuto presentargli il conto.
Se questo era il clima, come dire, pubblico, non è che sul versante privato le cose andassero meglio. Sempre in quella primavera del ’44 qualcosa si era incrinato nel perfetto equilibrio domestico di Simenon. Per la prima volta Tigy, la moglie, aveva cercato di eliminare dall’orizzonte familiare la domestica-amante, quella Boule che da vent’anni condivideva con lei gli appetiti sessuali di lui. Quel giorno di aprile Tigy li aveva colti sul fatto e aveva chiesto che «quella donna» venisse messa alla porta... «Quella donna» aveva replicato lui, «per vent’anni era stata considerata a tutti gli effetti un membro della famiglia» e poi, si contavano a centinaia le sue infedeltà di marito... Di che cosa la moglie pretendeva ora lamentarsi?
Ecco, quel libro «strano» di cui parlavano all’inizio esce allora: il mondo esterno e il mondo interno minacciano, come non gli era mai accaduto prima, il suo mondo intimo, ma non è ancora nato chi lo terrà sotto scacco. La fuga del signor Monde (Adelphi, pagg. 154, euro 17), scriverà ad André Gide, «mi dà la netta impressione che si sia concluso un determinato periodo della mia vita e stia per cominciarne un altro». E ancora, qualche anno dopo: «Per vent’anni ho cercato di evitare tutto ciò che per caso - figli, malattie, scandali eccetera - poteva compromettere la pace del mio ménage. Forse è questo che ha dato alle mie opere quel tono sordo che risuona ovunque, e quella nota di fredda e lucida disperazione che credo di aver reso particolarmente evidente in questo libro». La fuga del signor Monde racconta la storia di un uomo intrappolato dal matrimonio e da un certo modo di vivere, preoccupato dal passare degli anni, incapace di stabilire un rapporto d’affetto con i figli, che pure ama. Sposatosi due volte, la prima moglie era una ninfomane, la seconda si è rivelata frigida: ma avidità, furbizia, volontà di dominio le ha accomunate nella diversità. Alla fine, il signor Monde troverà la salvezza nella fuga, tre mesi in cui scompare di casa e prova a osservare e a osservarsi dal di fuori. Quando ritornerà, i suoi amici resteranno impressionati «da quest’uomo che non era più perseguitato dai fantasmi, non appariva più ombroso e vi guardava negli occhi con fredda serenità».
Monde, insomma, non è altri che Simenon, stretto fra l’evasione dalla vita e la prigione della vita.

Di lì a un anno, lascerà la Francia per gli Stati Uniti, dovrà sacrificare Boule, ma poi si prenderà la sua rivincita sacrificando Tigy... È fuggito in un altro continente, ricreerà con nuove persone vecchie abitudini. È sempre se stesso, ma è anche un altro se stesso, eterno clochard che ha paura di restare da solo sotto un ponte.

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