Laura Novelli
Se non sapessimo che è stata scritta da Niccolò Machiavelli, uno dei nostri più apprezzati autori, la potremmo senza dubbio confondere con una commedia rinascimentale attinta al migliore repertorio. Ciò che più stupisce, infatti, della godibile Margarita e il gallo di Edoardo Erba, in scena al Valle nellallestimento di Ugo Chiti con Maria Amelia Monti e Gianfelice Imparato protagonisti, è la forza di una scrittura che contiene in sé gli ingredienti più saporiti della commediografia cinquecentesca. E che li mescola abilmente, infarcendoli di caratteri ben tipizzati, di un colorismo linguistico mosso e musicale, di «topoi» classici quali lequivoco, lo scambio di persona, la magia, lallusione sessuale (mai volgare, però), la commistione di registro «alto» e registro «basso». Ne deriva, dunque, un meccanismo scenico perfettamente oleato, che guarda indietro con arguto spirito emulativo per dimostrare come, in fondo, le ambizioni e i sentimenti umani restino immutati nei secoli.
La vicenda ruota intorno a una contadina lombarda giunta a Firenze per servire la casa di un tipografo che non naviga in buone acque. Lingenua ragazza (una Monti/Margarita vivace, fresca e assolutamente comunicativa) si troverà presto coinvolta, suo malgrado, in unincresciosa situazione di stampo machiavellico (quello della Mandragola, per intenderci) dalla quale uscirà «indenne» grazie al ricorso alla stregoneria, «arte» ereditata dalla madre che qui risulta, inoltre, quanto mai funzionale al lieto fine.
Ma veniamo ai fatti: lansioso stampatore Annibale (efficace ed equilibrata la prova di Imparato) ha promesso al Visconte Morello (un caricaturale e spassoso Franco Meoni) di concedergli il corpo di sua moglie Bianca (Giulia Weber) purché il nobile lo aiuti a risollevare le sorti della sua traballante attività. Si dà però il caso che proprio il giorno del fatidico appuntamento Bianca debba partire per assolvere certi affari di famiglia. Al marito, disperato, non resta altra soluzione che far passare Margarita per sua consorte. La giovane serva si presta al gioco del travestimento con giustificata reticenza e quando capisce la posta in gioco pensa bene di evocare le facoltà magiche di cui è provvista per trasformare se stessa nel padrone e il padrone in lei. Ovvio quindi che, da questo punto in poi, la trama corra verso il suo naturale scioglimento: non solo vengono ripristinate le giuste identità ma vengono anche annunciate le imminenti nozze tra la rude contadina e il ricco Morello.
Nella vistosa scenografia lignea di Daniele Spisa, Chiti cala una regia sobria ed elegante che lavora soprattutto sugli interpreti, sul ritmo, sugli a-parte più intimi e riflessivi.
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