da Roma
«Assolutamente condivisibile», dice Veltroni dellintervista di Bersani alla Stampa. E se la prende con la forzatura di «quel titolo» che invitava il «caro Walter» a «cambiare passo». Ma al netto di espedienti giornalistici, il senso del messaggio ci sta tutto. Il fatto stesso che Bersani, il dirigente ds più defilato degli ultimi mesi, abbia deciso di parlare è un segnale in sé. A 15 giorni dal voto, allindomani dellironia di DAlema sugli slogan «mosci» di Veltroni (e mentre anche Di Pietro prende le distanze annunciando che non si scioglierà «mai» nel Pd), il suo significato è pesante, e prefigura il capo di imputazione che - in caso di risultato negativo - verrà contestato a Veltroni da quellapparato Pd che fa capo allo stesso DAlema e a Marini. Quello di aver perseguito la rottura con la sinistra senza centrare lobiettivo proclamato, ossia la riconquista del voto moderato. Quegli «elettori del centrodestra incerti», come dice Bersani, ai quali «fatichiamo ad arrivare», e nei cui confronti servirebbe «un colpo di reni» perché finora la campagna elettorale del Pd è risultata loro «un po estranea».
La presa di distanza è cortese ma chiara, e costituisce, fa notare uno che conosce bene i meccanismi dellapparato post-Ds come il parlamentare Pd Peppino Caldarola, «un messaggio pesante al partito, da parte di colui che può diventare il più probabile competitor interno di Veltroni: un attacco al cuore della sua impostazione elettorale», quella che ha spinto il leader del Pd a mettere in pista candidati come Ichino o Calearo e a concentrare tante tappe del suo pullman al Nord.
E secondo Caldarola, laula del processo per il dopo elezioni è già in allestimento: «In caso di un risultato sotto il 35% e senza pareggio al Senato, porranno Walter di fronte ad unalternativa: o accetti di fare il segretario collegiale e sotto tutela, oppure ne prendi atto e agisci di conseguenza. E se conosco bene Veltroni, lui non accetterà di reggere cinque anni allopposizione con un partito che non gli ha voluto dare una delega reale e non gli consente di giocare una partita vera: mi aspetto un suo scarto, che si tiri fuori e si inventi un altro mestiere». E daltra parte, le cose sono assai cambiate dalla discesa in campo di Veltroni: i maggiorenti Pd lo avevano accettato come segretario con il retropensiero di un lento logoramento allombra del governo Prodi, senza dare per scontata la sua candidatura a premier. E la crisi lo ha colto in mezzo al guado, mentre tentava di portare a casa un dialogo sulla riforma elettorale che lo avrebbe blindato come leader. Anche su quel terreno, linasprimento dello scontro e le stesse «aggressioni» (come Veltroni le definisce) di Berlusconi lasciano intendere come il capo del Pdl intuisca che nel Pd ci si stia muovendo per offrirgli nuovi interlocutori dopo il voto.
Veltroni sembra assai consapevole della posta in gioco, e contrattacca rivendicando i suoi risultati: «Se cè qualcuno che mi rinfaccerà il fatto di essere andato da solo, ne discuteremo, ma non sarà così. Non ce ne sarà uno: a settembre (quando lui scese in campo, ndr) eravamo a 22 punti di distanza dalla Cdl, non so a quanto saremmo ora se avessimo continuato con lUnione e mi fossi portato tutti quanti sul palco». E daltronde, già domenica aveva avvertito che se qualcuno volesse il suo posto, dovrebbe misurarsi come lui nelle primarie, e aveva messo sul piatto i suoi 3 milioni di voti.
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