Arlecchino e uno sberleffo senza tempo

Laura Novelli

Ha preso vita nel ’47 sul palcoscenico dell’allora neonato Piccolo Teatro di Milano caricandosi di una responsabilità enorme: sollevare gli animi dell’Italia postbellica a furia di lazzi, battute, capriole, manganellate in testa, burle, piroette infuocate di energia. E se oggi, a distanza di quasi sessant’anni e dopo un numero sconfinato di repliche disseminate in tutto il mondo, l’Arlecchino servitore di due padroni diretto da Giorgio Strehler ancora piace e ancora richiama schiere di spettatori entusiasti, vuol proprio dire che quella faticosa scommessa è stata vinta e stravinta. E non tanto per l’ingegnosa trama di equivoci e colpi di scena che Goldoni, sempre ben accorto a declinare i modelli della Commedia dell’arte secondo i palpiti e la sensibilità di figure profondamente umane, delinea in questo canovaccio del 1746 (del tutto riscritto, però, sette anni dopo), quanto per l’estro inventivo del prolifico regista triestino (di cui proprio l’anno prossimo ricorrono i dieci anni dalla morte) e, soprattutto, per la straordinaria maestria con cui Ferruccio Soleri interpreta la maschera di Arlecchino dai primi anni ’60. Da quando, cioè, ereditando il ruolo che era stato di Marcello Moretti e adattandolo ad una cifra del tutto personale dove confluiscono echi della tradizione ed eccellente agilità fisica, egli diventa ufficialmente l’ultimo grande servitore bergamasco del teatro italiano. L’ultimo straordinario capocomico (e viene naturale pensare a celebri «predecessori» quali Tristano Martinelli, Dominique Biancolelli, Angelo Costantini) capace di tradurre in ogni lieve movimento del corpo, in ogni veloce emissione della voce, in ogni fugace sguardo, in ogni piccolo salto, quella forza istintiva, diabolica, giocosa, famelica, acrobatica e luminosa che fa di Arlecchino un simbolo senza tempo del Teatro. Un’icona che porta incisi in sé i segni di una scena immaginata sempre e comunque come ludus, artificio, sogno, illusione, spensieratezza, divertimento. Sempre e comunque a dispetto del tempo che trascorre, delle tragedie che lacerano il mondo, delle perdite che scavano vuoti, dei dolori che puntellano la vita. Arlecchino-Soleri sembra un antidoto contro l’infelicità, contro l’apatia, contro la paura, contro la forza di gravità, contro il teatro «mortale». Per questo le repliche romane dello spettacolo, programmate al Valle da questa sera, si impongono come un’occasione unica, non solo per chi non ha mai avuto modo di vedere questo storico allestimento del Piccolo ma anche per chi già lo conosce e già lo ama.
Più passano gli anni, infatti, e più il lavoro - che nel corso della sua lunga esistenza ha avuto ben dieci edizioni, l’ultima nel ’97, e ha saputo rinnovarsi con ineccepibile modernità - sembra voler scandagliare le ragioni profonde che muovono azioni e sentimenti umani; sembra voler sottolineare con maggiore enfasi aspetti legati al nostro quotidiano e al nostro fragile presente. Pur tenendo fede, tuttavia, a quel vivace impianto metateatrale in cui lo stesso Strehler volle calare l’ingarbugliato plot di questa buffa farsa: Arlecchino (maschera da gatto sul volto e costume tappezzato di colori) cerca animosamente di saziare la fame atavica che lo perseguita e, a tal fine, pensa bene di servire due padroni contemporaneamente e di ingannarli con continui raggiri. La sua ambiguità causa, dunque, una sequela di equivoci che rischia di compromettere seriamente la passione di Florindo per Beatrice e quella di Silvio per Clarice, tutte vittime inconsapevoli del furbo servitore le quali, solo nell’epilogo e solo grazie all’intervento di Brighella, riusciranno a coronare il loro sogno d’amore. Così vuole, d’altronde, ogni commedia degna di questo nome. Tanto più se, come in questo caso, il teatro sposa la raffinata leggerezza della poesia per farsi evento culturale - e gioioso - che trascende le epoche e i gusti correnti.

Nella ripresa prevista sul palcoscenico della sala Eti, lo spettacolo, reduce da otto settimane di trionfante tournée negli Stati Uniti, vede Soleri impegnato anche come curatore della messinscena. Le musiche sono di Fiorenzo Carpi, le scene di Ezio Frigerio e i costumi di Franca Squarciapino. Giovane e ben affiatato il corposo cast.
Fino al 2 aprile. Info: 06-68803794.

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