Alla vasta pubblicistica sulla tragedia dellArmir - larmata italiana che Mussolini inviò in Russia e che in Russia simmolò - saggiungono ora due libri: Noi moriamo a Stalingrado, di Alfio Caruso (Longanesi, pagg. 350, euro 16,50, da oggi in libreria) e Reduci alla sbarra, di Alessandro Frigerio (Mursia, pagg. 182, euro 14). Questi volumi ripercorrono, in unottica diversa, le vicende delle unità italiane che saffiancarono alle poderose unità tedesche, e che insieme ad esse furono travolte dalla controffensiva sovietica.
Nel suo dilettantismo smargiasso il Duce, incapace duna strategia decente negli scacchieri che gli competevano, aveva accessi di presenzialismo in scacchieri a lui estranei. Sia in Africa settentrionale sia in Grecia aveva dovuto subire, dopo cocenti umiliazioni, lintervento dei tedeschi. Ma aveva preteso di concorrere alla battaglia dInghilterra con una sua forza aerea che mai entrò in azione, e dopo lattacco di Hitler allUrss aveva smaniato perché anche le sue truppe fossero sul fronte orientale. Ci furono, infatti: prima il Csir, poi lArmir che lasciò lassù quasi centomila morti, in minor parte caduti in combattimento, in maggior parte uccisi dagli stenti e dalla crudeltà della prigionia.
Caruso evoca la campagna di Russia - della quale si era già occupato con Tutti i vivi allassalto - ricostruendo «lodissea di 77 soldati italiani precipitati nel peggior mattatoio della seconda guerra mondiale»: Stalingrado. LArmir non soffrì che indirettamente le conseguenze di quellimmane e feroce battaglia, le sue divisioni non vi furono coinvolte. I 77 appartenevano a formazioni non di prima linea, il 248º e il 127º autoreparto. Sennonché sia luno sia laltro furono tolti dalla tranquillità routinaria delle retrovie per raggiungere con i loro mezzi motorizzati proprio la città contesa. In quella fornace che inceneriva uomini e cose si trovarono bloccati gli «autieri» italiani. Una scheggia di storia che Caruso arricchisce con particolari toccanti e con estratti della corrispondenza che i 77 tennero, finché fu possibile, con le famiglie.
Il saggio di Alessandro Frigerio prende anchesso le mosse dal disastro dellArmir, ma si spinge oltre, al dopoguerra, e alle polemiche tra comunisti e anticomunisti che - in vista delle elezioni epocali del 18 aprile 1948 - ebbero per tema proprio la fine dellArmir. È risaputo che Togliatti si espresse, al riguardo, con un cinismo ripugnante. Al compagno Vincenzo Bianco, che aveva richiamato la sua attenzione sul problema dei prigionieri, così rispose: «Io non sostengo affatto che i prigionieri si debbano sopprimere, tanto più che possiamo servircene per ottenere certi risultati in un altro modo. Ma nelle durezze oggettive che possono provocare la fine di molti di loro non riesco a vedere altro che la concreta espressione di quella giustizia che il vecchio Hegel diceva essere immanente in tutta la storia».
Nei gulag arrivavano, per fare opera di propaganda e di indottrinamento tra i prigionieri, gli agit prop italiani: i quali, affiancati da ufficiali della polizia sovietica, illustravano le meraviglie dello stalinismo contrapponendole allabbiezione del fascismo. Massimo responsabile di questo lavaggio del cervello era Edoardo DOnofrio, comunista doc, incarcerato dal fascismo, volontario nelle brigate internazionali in Spagna, poi ospite dellUrss. «Uomo di limitata intelligenza, di grande capacità di lavoro, di fedeltà assoluta». Il ritratto è di Luigi Barzini jr. Sul ruolo di DOnofrio e dei suoi sottoposti battibeccarono Risorgimento liberale e lUnità. Finché le dichiarazioni di reduci che Risorgimento liberale aveva pubblicato furono raccolte in un fascicolo intitolato Russia, contenente un fervido appello anticomunista di 500 ufficiali italiani rientrati dalla prigionia.
Un capitolo («i nostri aguzzini») citava vari nomi, a cominciare proprio da quello di DOnofrio. Questi - diversamente da altri esponenti del Pci che pure erano stati presi di mira con veemenza - presentò querela per diffamazione contro gli autori e i responsabili del pamphlet. Il processo fu celebrato dopo che il Fronte popolare socialcomunista era stato sgominato alle elezioni, ma ebbe egualmente vasta risonanza. DOnofrio sostenne di aver semplicemente colloquiato con i soldati italiani per additare loro il cammino della democrazia, la difesa dei querelati insistette sul carattere vile e intimidatorio di quelle concioni.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.