Roberto Bonizzi
Il piccolo circolo di «quelli che credono allinnocenza di Floyd Landis» stampa e distribuisce la tessera numero tre. Dopo mamma Arlene e papà Paul, che dallenclave mennonita di Farmersville in Pennsylvania attendono «con fede» lesito del procedimento disciplinare nei confronti del figliolo (che tanto prodigo non è, visto che a casa non vuol saperne di tornare), ecco Lance Armstrong. Il texano vincitore di sette Tour de France uno in fila allaltro non ha dubbi: «Io sono un ammiratore di Floyd. Io credo in lui». Landis, licenziato dalla Phonak, la formazione svizzera con cui ha vinto la Grande Boucle, aspetta il giudizio che potrebbe costringerlo a una squalifica di due anni, che a 30 vuol dire praticamente smettere di correre.
Poi Armstrong si traveste da avvocato difensore e consiglia la strategia giusta al suo assistito: «Gli credo, ma lui sta parlando troppo. Deve evitare di esporsi troppo sui media». Muto (e imboscato) fino a nuovo ordine. Questo il suggerimento del maestro Lance, che ha indossato la toga a Indianapolis, sullovale della 500 miglia, dove stava partecipando a una manifestazione di beneficenza. «Meglio stare in silenzio e aspettare il procedimento disciplinare - spiega il texano -. Ovviamente questa non è una situazione positiva per il ciclismo, lo sa anche Floyd. In particolare non è positiva per il ciclismo americano». La credibilità del ciclismo sta scendendo sotto terra, ma corridori ed ex corridori continuano a scaricare le responsabilità: «Le misure antidoping in vigore nel ciclismo sono tra le più severe in assoluto - dice Armstrong -. Ecco perché molti vengono scoperti. Cè un approccio aggressivo che manca in altri sport. Pensate solo se si agisse così nella Nfl (la lega di football americano). Non staremmo qui a parlare di Landis, sarebbe una bella storia». Insomma il doping non esiste e i test sono fastidiose complicazioni.
Il sette volte «signore in giallo» è stato anche il più chiacchierato della storia della Grande Boucle. I sospetti e le dicerie in terra francese sono iniziate quasi in concomitanza con il primo sigillo di Armstrong sugli Champs Elysées: era il 1999 e la vittoria più importante era ancora quella ottenuta sul cancro, pochi mesi prima. Mai le illazioni hanno trovato riscontro nelle migliaia di test antidoping a cui il ciclista texano è stato sottoposto negli anni. Fedina penale immacolata. Non è andata allo stesso modo al suo amico yankee. Gregario prima, delfino poi, erede infine. Ma la favola a stelle e strisce si è infranta dentro una provetta, a Morzine, appena dopo il traguardo della 17ª tappa del Tour. Testosterone sintetico, la «benzina» vietata trovata nel sangue di Landis.
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