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Armstrong, l’addio dopo il settimo sigillo: «Ora faccio il papà»

Vince la crono, il Tour e si ritira. «Adesso? Una settimana di vacanza, nel Sud della Francia, con la famiglia. E, se serve, porterò la chitarra a Sheryl»

nostro inviato a St. Etienne
Per l’ultima volta ha corso più veloce del tempo, battendo tutti nella crono finale di questo Tour e della sua vita. Da quest’oggi, comincerà a goderselo con molta più calma, senza fretta, assaporandolo, questo suo tempo di campione pensionato. L’agenda è già pronta. Prima la tappa-passerella di Parigi, quindi la pomposa premiazione sui Campi Elisi, infine serata di gala e messaggi di Bush. Poi, una volta placati i clamori, Lance Armstrong si dedicherà alla professione che finora, come più volte confessato, ha un po’ trascurato: fare il padre. Le sue tre creature, un maschio e due gemelle, sono venute a prelevarlo sul posto di lavoro, forse temendo ci ripensi. Ma è lui stesso, il papà ritrovato, che davanti ai suoi bambini conferma un addio commovente e irrevocabile.
Davvero non c’è la tentazione di vincere l’ottavo?
«Basta, ho finito il mio lavoro. Da domani comincia un’altra vita. Un’altra storia».
Riesce a immaginare dove sarà il prossimo luglio?
«Sarò un tifoso che guarderà il Tour. Girerò ancora attorno a questa corsa, tenendomi in contatto con i miei compagni, se necessario regalando anche qualche consiglio. Ma me ne starò molto defilato. Per qualche anno non voglio più essere un personaggio pubblico. Voglio ritrovare la mia vita».
E subito, nei prossimi giorni, che farà?
«Una grande festa con la mia compagna Sheryl, con i bambini, con gli amici più cari. Poi ci prenderemo un volo e andremo nel Sud della Francia. Voglio una settimana di bella vita, come non me ne sono mai concesse negli ultimi quindici anni: mangiare bene, bere buon vino, dormire. E la bicicletta alla larga».
Rimpianti, Lance?
«Nessun rimpianto. Ho avuto una vita e una carriera incredibili. Io sono un uomo fortunato. E non parlo solo del cancro. Mi sento benedetto per aver fatto questo mestiere bellissimo. Mi sento benedetto per aver vinto sette volte. Mi sento benedetto per aver guadagnato quanto basta per rendere la vita mia e dei miei figli abbastanza comoda per il resto degli anni. Dico grazie, non c’è più ragione di continuare. È tempo per una nuova storia».
Quale storia?
«C’è tutta la calma per pensarci. Io sono tornato a correre per ridare una speranza a chi soffre di gravi malattie. Il mio impegno continuerà. Per il resto, chi lo sa: tutto quello che faccio è una sfida. Hai visto mai che mi metta a fare la maratona. Mi piacerebbe correrla in 2 ore e mezza. Anzi, no: due e quindici. No, non esageriamo, non sono in bici: va bene due ore e mezza...».
Potrebbe affiancare la sua compagna Sheryl Crow nei concerti.
«Giusto. Sono un pensionato, posso permettermi tutto. Se ha bisogno che la segua con la chitarra, sono pronto».
Seriamente: l’attende la sfida d’essere un buon padre.
«Questo conta. Luke, Grace e Isabel sono le tre persone più importanti della mia vita. Li ho voluti qui con me, in questi ultimi giorni, perché voglio mi vedano in giallo a Parigi. Voglio che sappiano che cosa ha significato, il giallo, per loro padre. Il giallo è il simbolo di una vita».
E gli avversari, Lance?
«Basso ha dimostrato d’essere il futuro di questa corsa. Nei prossimi tre anni, sarà lui l’uomo da battere. Quanto a Ullrich, l’eterno rivale, posso solo dire che ha sempre perso nella prima metà del Tour: forse, se arrivasse un po’ più magro e un po’ più preparato...».
L’impressione è che lei potrebbe batterli anche l’ottava volta.
«No, non dite questo. Non è elegante, non è giusto. Quest’anno io vinco con 4’40” sul secondo. Ma l’anno prossimo potrebbe succedere a me. I giovani stanno crescendo. Non cominciate coi paragoni: evitate, in futuro, di dire che il vincitore “però non ha battuto Armstrong”. Ogni anno ha una storia tutta sua...».
Adesso che si dimette, può finalmente spiegare come si vince il Tour?
«Ognuno deve trovare il suo modo. Il mio? Quello che ho sempre spiegato alla mia squadra. Inutile provare tanti attacchi: basta un attacco, uno solo. E poi via con le cronometro».
Ora che arriva il tempo dei ricordi, qual è l’immagine indelebile di questi sette anni?
«Ricorderò tante giornate, tanta fatica, tanto lavoro. E tutte le facce di chi mi ha aiutato in questa impresa incredibile.

Più che una foto, mi scorrerà davanti un grande film».

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