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Arrabal ci porta in un circo beckettiano

Laura Novelli

Ha scritto un centinaio di pièce teatrali ed è senza dubbio uno degli autori viventi più rappresentati al mondo. Eppure non capita spesso, sulle scene italiane, di imbattersi in allestimenti che riguardino le sue opere. Forse perché la scrittura di Fernando Arrabal - drammaturgo, romanziere, poeta e saggista spagnolo da tempo residente a Parigi che, negli anni ’60, legò il suo nome al movimento letterario «Il Panico» - incute una certa soggezione. Le sue storie, i suoi personaggi, i sui dialoghi sembrano usciti, infatti, dal disilluso nichilismo di Beckett, dall’irriverenza demistificatoria di Jarry, dal candore spiazzante e favolistico di Ionesco, dal cupo senso claustrofobico di Kafka. Ma posseggono pure un’originalità tutta loro che li rende immediatamente riconoscibili; una spiccata vocazione al surreale e al grottesco che passa attraverso temi forti quali la morte, il passato, la fragilità dei legami affettivi, la pericolosità del pensiero. E recita proprio «Pensare è una disgrazia» la frase con cui si chiude uno dei suoi testi più interessanti, Fando e Lis (’55), riproposto ora all’Orologio (Sala Artaud) in uno spettacolo lieve ma incisivo che (su traduzione di Mario Moretti) vede in scena gli ottimi Mario Brancaccio (anche regista) e Mila Moretti nei ruoli del titolo, affiancati da un promettente tris di giovani comprimari (Danilo Rovani, Maz Pece e Titta Troise).
Lo spazio vuoto della piccola sala capitolina sembra popolarsi di giganti dai gesti solenni e dai lineamenti circensi quando Lis/Moretti entra in scena, vestita da sposa, seduta su una carrozzina da bambino che ne camuffa le gambe paralizzate e la tiene legata a sé con una lunga catena d’acciaio. A trainarla c’è Fando/Brancaccio: abiti militareschi e sguardi caricaturali per scimmiottare sentimenti amorosi in realtà assai flebili e per sancire promesse fin troppo ambigue. Parlano d’amore e di morte, di baci e di funerali, immersi in un’atmosfera trasognata (che la regia amplifica grazie ad intarsi video molto significativi) dove l’unica nota dominante è la loro stessa ansia di fuga; il loro disperato desiderio di recarsi a Tar, terra promessa di felicità ed armonia che Fando e Lis, ovviamente, non raggiungeranno mai. Piuttosto: gireranno su se stessi come trottole, perdendosi in un labirinto di incubi e ombre, vagando intorno agli spettatori presenti per tornare sempre al punto di partenza, come se intendessero dirci che il loro viaggio somiglia, in fondo, a quello di tutti noi. E non è un caso che, lungo questo buffo pellegrinaggio verso il niente, la coppia incontri tre strambe figure con l’ombrello che, smarrite anch’esse nel nulla, sembrano evocare i tre Magi, sprovvisti però della Cometa.

Dunque, tutto ciò che qui appare mostra anche il suo contrario, il suo lato debole, ed è quindi ovvio che la farsa debba tramutarsi giocoforza in tragedia: Fando lascerà morire Lis senza versare nemmeno una lacrima (assai espressiva la scena delle finte smorfie di dolore) e Lis, da parte sua, morirà con quella saggia compostezza, quella pietosa ironia, quella tenerezza risoluta e vitale che ci fa venire in mente la dolente infermità della splendida Winnie beckettiana.
Repliche fino a domenica 26 febbraio. Informazioni: 06.6875550.

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