Basilea val bene una Messe, titolava alcuni anni fa unautorevole rivista darte. E la Messe, la fiera che ogni primavera ospita in Svizzera la crème delle gallerie internazionali, anche questanno non ha tradito le attese. Oltre 300 espositori, di cui una ventina allesordio assoluto, hanno presentato il meglio dellarte moderna e contemporanea sul mercato, ma anche le ultime proposte della nouvelle vague che quando arrivano Basilea, vedono crescere esponenzialmente le quotazioni. Soprattutto se a fare da garante sono le major del sistema mondiale come le newyorkesi Gagosian, Gladstone, Goodman, Luhring Augustine, o le londinesi White Cube, Lisson e Malborough.
Parlando di quotazioni, Art Basel si è dimostrata ancora una volta il contraltare scomodo delle grandi case dasta internazionali come Christies e Sothebys, amplificando squilibri nei prezzi dei grandi artisti, specie contemporanei. Così, mentre si conferma lescalation vertiginosa di artisti come Tom Wesselmann, recentemente scomparso, i cui nudi pop negli stand di Basilea partivano da un milione e mezzo di dollari, non sono mancati bruschi ridimensionamenti per altri big del contemporaneo. Tanto per fare qualche esempio, la galleria americana Van de Weghe ha venduto unopera di Basquiat dell82 (Donut Revenge) a 3,2 milioni di dollari, ovvero a una cifra quasi cinque volte inferiore a un quadro dellafroamericano dello stesso periodo battuto il mese scorso da Sothebys. Ma è accaduto anche il contrario, come nel caso della londinese Waddington che ha ceduto un Love in alluminio di Robert Indiana a 650mila sterline, il doppio di un pezzo quasi uguale battuto allincanto soltanto un anno fa. Così, le montagne russe del mercato contemporaneo generano il paradosso di vedere talora sottostimati - in proporzione sintende - maestri del moderno come Picasso o Max Ernst. Tra gli espositori selezionati dal severo Art Basel Committee, troneggiavano anche 21 gallerie italiane tra cui Continua, Artiaco, De Cardenas, De Carlo, lo Scudo, Marconi, Minini, Tega e altre. Ancora una volta però, ha prevalso il vecchio vizio di negare, salvo eccezioni (come nel caso di Roberto Cuoghi e Vedovamazzei), la prestigiosa vetrina internazionale ai giovani artisti italiani che, a differenza di quanto avviene oltrefrontiera, vengono sacrificati a vantaggio di più sicuri storicizzati (a Basilea abbondavano i Poveristi come Pistoletto e Kounellis) e da stars globalizzate, cinesi in testa. Bando ai nazionalismi, inutile poi lamentarsi se i nostri giovani sono meno riconosciuti dal mercato internazionale e costano (ingiustamente) circa un terzo dei colleghi anglosassoni.
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