Mostre, libri, dossier: larte antica è di nuovo alla ribalta. Si è appena aperta a Mantova «La forza del Bello. Larte greca conquista lItalia», che ripercorre la presenza dellarte greca nella penisola dal VII secolo a.C. al Settecento e oltre. Se ne è inaugurata ieri unaltra a Rimini, dal titolo «La rinascita dellantico nellarte italiana. Da Federico II ad Andrea Pisano». Seguirà il 4 luglio quella al Castello del Buonconsiglio di Trento: «Rinascimento e passione per lantico: Andrea Riccio e il suo tempo». Nellantico affondano le nostre radici, non cè epoca della nostra storia che non abbia succhiato il latte dallantichità, traendone i più svariati influssi. Nellarte italiana lantico è stato sempre presente dalla tarda romanità a oggi attraverso procedimenti formali, iconografici, tecnici e ideologici.
Nel Medioevo il rapporto col mondo classico, greco e romano, è complesso, ma rivela tendenze comuni: il re-impiego di strutture e pezzi antichi, la riproduzione o imitazione di opere, la riproposta di idee e contenuti classici. Nel IV secolo, a esempio, dopo che leditto di Costantino del 313 aveva restituito libertà di culto ai cristiani, si costruirono chiese e battisteri guardando alledilizia romana. Non solo, si fece anche man bassa di colonne, architravi, capitelli, utilizzandoli nei nuovi edifici. Le pitture delle catacombe adattavano iconografie greche e romane al nuovo culto, come testimoniano i Tre fanciulli nella fornace o il Buon Pastore dipinti nel III secolo nel cimitero romano di Priscilla sulla via Salaria. Volti di imperatori e di matrone diventavano quelli di santi e madonne.
Anche i barbari erano patiti della romanità. Lideale classico di bellezza finiva con lintrecciarsi ai nuovi linguaggi artistici, a volte rozzi, ma vivaci e fantasiosi, con esiti di grande fascino in miniature, oreficerie (come quelle esposte alla rassegna veneziana di Palazzo Grassi «Roma e i barbari») e i cicli pittorici del VII-VIII secolo. Molti gli esempi. Tra i più curiosi una miniatura del manoscritto sullarte di cacciare con gli uccelli dove limperatore Federico II di Svevia è rappresentato come un antico Cesare. Federico II, Carlo Magno, Roberto il Guiscardo adottarono tutti i simboli della romanità.
Tra le città più appassionate di classicità ci fu Pisa, che nellXI secolo costruiva il suo celebre Duomo con lastre pavimentali, urne, cippi, sarcofagi, importati come trofei dalle flotte pisane. Li possiamo vedere ancora oggi inseriti nei muri, con iscrizioni latine. Altri esempi? Il fonte battesimale della basilica di San Frediano di Lucca, realizzato nellXI secolo da un Maestro Roberto con rilievi di chiara derivazione classica.
Ma è nel Rinascimento il vero boom dellantico. Il Medioevo, con le sue contaminazioni barbariche, aveva finito col far dimenticare gli ideali di proporzione classica. Gli artisti della nuova epoca vogliono tornare a quella «sacrosanta antichità», ai suoi equilibri e alla sua armonia. E inventano mille modi per ritrovarla: la grandiosità delle statue antiche entra negli affreschi di Masaccio, mentre in Mantegna gli interessi antiquari si esprimono nella ieraticità dei personaggi, nei dettagli ornamentali, nelle architetture dipinte. Nelle botteghe di pittura circolano album di disegni con modelli antichi, su cui si formano generazioni di artisti. Nascono statue e gruppi equestri ispirati alla classicità, come il Bartolomeo Colleoni di Verrocchio. Si scolpiscono rilievi simili agli antichi, come quelli di Filarete nel portale della Basilica di San Pietro a Roma. Frotte di pittori, come lo spericolato Aspertini, vanno nella Città Eterna a studiare, arrampicati su ceste, i bassorilievi della Colonna Traiana.
Ma cè anche un altro modo per rendere omaggio allantichità: farsi ritrarre con celebri statue in mano o sul tavolo, ostentare monete e collane antiche. Il collezionista Jacopo Strada si fa immortalare da Tiziano, tenendo tra le mani una piccola scultura, copia romana dellAfrodite di Prassitele. Il pittore olandese Maarten van Heemskerk, nellAutoritratto del Fitzwilliam Museum di Cambridge, si rappresenta di fronte al Colosseo.
E il Seicento? Ecco subito Velázquez giocare con il mito nel suo ironico e spregiudicato Bacco, che trionfa tra poveracci e contadini.
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