«Arte solo come servizio civile»

PER UNA «MILANO EUROPEA»
(28 gennaio 1968)
Già anni fa al Circolo della Stampa e poi al Circolo Turati e poi in vari dibattiti nella sala del Piccolo Teatro ed in diverse altre occasioni, ho sempre reso nota la mia opinione secondo la quale la nostra «generosa ed operosa» metropoli ambrosiana anziché capitale morale vuole ridursi ad una grossa asmatica città, di provincia. La comunità milanese rifugge da un'assunzione di responsabilità, da una consapevolezza del ruolo che essa dovrebbe svolgere in Italia ed in Europa. Gli Istituti, tutto sommato, ci sono: i Circoli, al centro ed alla periferia, esistono; dalla ricerca scientifica alla poesia d'avanguardia, c'è tutto un panorama di strutture di ipotesi disponibili. Quello che manca è una serie di vasi comunicanti, quello che manca è una città che non si limiti a tollerare o talvolta addirittura ignorare le diverse proposte della cultura, ma, in diversi modi, le accolga e le faccia proprie. Tutti possono e debbono concorrere: dagli operatori culturali pubblici e privati agli Istituti di Credito, specializzati purtroppo in edizioni natalizie, costose e poco utili: si tratta di passare definitivamente da una cultura per pochi, ad una cultura per tutti, ad una cultura che rappresenti ed investa tutta la vita della città e ne sia il nuovo abito, il nuovo lievito fondamentale. Vi è la Milano della pittura e dei pittori da riaffrontare, vi è la Milano degli architetti e della Triennale da riscoprire, vi è la Milano delle grandi tradizioni e degli editori, vi è una Milano «europea» da riproporre come sintesi di valori culturali e civili del nostro passato e come testa di ponte dell'Europa verso il Mediterraneo.
SUL RUOLO DEL TEATRO
(27 aprile 1947)
(...) Fra i nostri lettori vi è senz'altro chi ricorderà un nostro scritto dell'anno scorso: «Il teatro, pubblico servizio». La nostra preoccupazione era, ed è tuttora, non tanto di difendere un determinato orientamento di spettacolo, non tanto di aderire ad una determinata letteratura teatrale, quanto di condurre la nostra polemica nell'ambito della struttura organizzativa della nostra scena di prosa. Fin tanto che i nostri mezzi strumentali saranno in esclusivo demanio della speculazione privata, che oltre tutto non è l'iniziativa privata, ma spesso e volentieri omertà e incompetenza, fin tanto che i mezzi di produzione dello spettacolo rimarranno nelle mani degli esercenti e degli industriali o di capocomici a loro asserviti, fin tanto che l'impero del guadagno a tutti i costi dominerà la vita economica del teatro nostro, non sarà possibile parlare in modo assoluto di risoluzione definitiva per un'autentica civiltà dello spettacolo italiano. Tutti i mezzi e tutti i modi atti a legare un pubblico di amatori a questo Teatro che nasce fra tante speranze e atti soprattutto ad allargare il solito pubblico degli spettacoli teatrali, inserendovi il proletariato e la piccola borghesia che per ragioni economiche ne sono stati esclusi da vari anni, saranno messi in opera. Il Piccolo Teatro della Città di Milano non è e non può essere, per sua funzione, per la sua struttura e per i suoi scopi, un fatto astratto e avulso dal reale interesse culturale e spirituale dei cittadini (...)
SUGLI ENTI LIRICI
(7 dicembre 1974)
Gli Enti lirici e sinfonici italiani, che sono la struttura portante del teatro di musica in Italia (ai quali si affiancano i teatri di tradizione, le stagioni di provincia, le attività concertistiche, festival) attendono dal governo di sapere se il teatro di musica in Italia è considerato una «necessità» o soltanto un abito da festa da indossare nelle grandi occasioni in cui riceviamo i nostri illustri ospiti stranieri.

Noi crediamo alla necessità della musica, alla sua utilità nella formazione culturale e democratica del cittadino, alla sua presenza nella scuola, così come crediamo che un patrimonio come quello della musica italiana, da Monteverdi ad oggi, debba essere salvaguardato, approfondito, difeso con ogni energia possibile, come un bene comune, così come i teatri d'opera debbono assumere sempre di più il carattere di «servizi sociali»(...).

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