
Ultimi giorni per ammirare l’affascinante mostra del Museo Diocesano di Milano che vede al centro la monumentale "Deposizione" del Tintoretto, capolavoro del maestro veneziano in dialogo con l’arte contemporanea. La tela di Jacopo Robusti - "il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura" secondo Vasari – è stata definita una delle espressioni di maggior impatto emotivo e al contempo rivoluzionaria sotto il profilo formale, che sia mai stata rappresentata dall’arte sacra, seconda forse solo alla Pietà di Michelangelo. Frutto di un eccezionale prestito da parte delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, dove fu trasferito senza troppi clamori a seguito della demolizione della chiesa gesuita di Santa Maria dell’Umiltà avvenuta nell’800, il dipinto viene oggi esaltato dal museo milanese all’interno di un originale allestimento intitolato "Attorno a Tintoretto". L’avverbio è giustificato dal fatto che la Deposizione è stata “incastonata” dai curatori (Giulio Maineri Elia, Nadia Righi e Giuseppe Frangi) al centro di un percorso di cinque sale, quale punto di arrivo delle riflessioni di quattro artisti contemporanei che attraverso le loro installazioni accompagnano il visitatore nel cuore dell’opera. Quasi un viaggio iniziatico.
D'altra parte, il capolavoro di colui che fu il più grande (e scomodo) antagonista di Tiziano Vecelio, ben si presta agli esperimenti curatoriali e al sovvertimento di categorie spaziali e temporali, poiché esso stesso, all’epoca, rappresentò una sfida ai contemporanei sia riguardo alla tradizionale iconografia della Deposizione, sia sotto il profilo strettamente stilistico; laddove l’opera realizzata da Jacopo Robusti nel 1562 giungeva all’apice della carriera di un artista totalmente padrone dei propri mezzi e della propria personalissima interpretazione del manierismo. Al contempo, non dev’essere stato facile per i curatori scegliere i compagni di questo viaggio iniziatico – gli artisti italiani Jacopo Benassi, Luca Bertolo, Alberto Gianfreda e Maria Elisabetta Novello – che sfocia nella magnetica contemplazione di questa anomala Deposizione, quasi un set cinematografico che rivoluziona il gruppo degli astanti, ingigantisce in modo inedito le dimensioni delle figure, allontana in secondo piano il corpo michelangiolesco di un Cristo "già deposto" facendolo incrociare con la Vergine sopraffatta dal dolore, vero elemento centrale dell’opera.
Sulla monumentale tela - così come in altri suoi capolavori di arte sacra tra cui l’Ultima cena e la Crocifissione – il "maestro capriccioso" di vasariana memoria si diletta a sovvertire i piani giocando con le luci che dall’oscurità del quadro esaltano "artificialmente" elementi contrastanti della composizione, innalzando il livello del pathos con vere e proprie zoomate sui volti e sulle membra dei protagonisti. Il Tintoretto “regista” si rivela più che mai maestro nella capacità di usare i dettagli per esaltare il carico emotivo della scena (la scala della croce sullo sfondo, i chiodi, le tenaglie e il martello in basso a destra) e inventa un’inedita composizione per linee diagonali e parallele che "sostengono" a sinistra le due figure maschili, e a destra quelle femminili sovrastate da Maria di Magdala; la santa si rivolge angosciata verso la salma del Cristo mentre una pia donna sostiene con pietas la Madonna sconfitta dal dolore e ormai esanime, altro elemento rivoluzionario per una "Deposizione".
Ma allora, ci si chiede, a quale momento si riferisce questo "fotogramma" della Passione secondo Jacopo Robusti detto il Tintoretto? "La realtà è che nonostante il titolo convenzionale – sottolinea la curatrice Nadia Righi - non si tratta di una vera e propria Deposizione, termine con il quale si indica normalmente una scena di tipo narrativo, che implica l’azione del distacco del corpo di Gesù dalla croce. D’altra parte, non è neppure corretto parlare di Pietà. Infatti, il tema iconografico della Pietà, termine sotto il quale erroneamente si tendono a radunare diverse declinazioni iconografiche, indica un momento non narrativo, un soggetto pensato per la devozione privata e una personale riflessione, un invito alla contemplazione della sofferenza di Cristo, alla quale è possibile avvicinarsi grazie all’espressione del dolore di coloro che erano presenti al momento della sua morte in croce".
A questo progressivo avvicinamento prendono parte le quattro installazioni contemporanee realizzate in collaborazione con Casa Testori che si aprono “a corona” attorno alla grande tela e che, senza citazioni direttamente esplicite, offrono agli astanti le loro personalissime riflessioni (anche autobiografiche come nel caso di Benassi) sul “film” messo in scena dal maestro veneziano. "In quale atteggiamento – si domanda Giuseppe Frangi - si mettevano le persone davanti alla Deposizione di Tintoretto quando era sull’altare nella chiesa di Santa Maria dell’Umiltà alle Zattere?".
Al quesito ha provato a dare una risposta l’artista Alberto Gianfreda che ha sostituito le panche della chiesa con sedute da museo "per meditare sulla realtà e sul mistero di quel corpo che è sceso dal grande quadro ed è stato amorevolmente deposto su analoghi seggiolini davanti a noi".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.