Arte

Quei tesori del Grand Tour riemersi dalla nave fantasma

In mostra a Rimini acquerelli, stampe, disegni e spartiti ritrovati a bordo della «Westmorland», razziata nel 1779

Quei tesori del Grand Tour riemersi dalla nave fantasma

Quella della Westmorland è una rocambolesca storia di made in Italy che, ieri come oggi, era un’irresistibile mescolanza di eccellenze tra belle arti, paesaggi mozzafiato e specialità gastronomiche; food, diremmo adesso. Ne sapevano qualcosa i giovani aristocratici inglesi che, nei primi giorni dell’anno 1779, decisero di imbarcare sulla fregata britannica in partenza da Livorno un prezioso carico di testimonianze sul loro Grand Tour nelle città italiane, una moda allora irrinunciabile per nobiltà e alta borghesia europea, e di cui Goethe ci ha lasciato ampi resoconti. Nella stiva della Westmorland in partenza per il porto di Londra vennero assiepate casse e casse contenenti dipinti, incisioni, disegni, sculture, spartiti, reperti archeologici, nonché specialità alimentari tra cui 36 forme di ottimo parmigiano che avrebbero fatto invidia sulle tavole della corona.

Quella traversata ebbe però vita breve. Intercettato a largo delle coste francesi dalle navi da guerra Caton e Destine, il pur corazzato vascello inglese dovette alzare bandiera bianca ai più agguerriti nemici e, scortato fino al porto di Malaga, cedere al sequestro dell’intero carico che venne messo all’asta. Il patrimonio del Grand Tour sarebbe a quel punto andato completamente disperso se gli emissari del re Carlo III di Borbone non lo avessero acquistato in blocco per destinarlo alle collezioni della Real Academia de Bellas Artes di San Fernando a Madrid.

Lì è rimasto intatto fino a adesso, comprensibilmente senza troppi clamori, e sarebbe dunque quasi inedito al grande pubblico se la Biennale del Disegno di Rimini, che inaugura oggi la sua quarta edizione (fino al 28 luglio), non ne avesse chiesto ed acquisito un’ampia selezione di opere grafiche, tra cui una sessantina di disegni, acquarelli, stampe, spartiti musicali e lettere autografe. La prima mostra italiana sul «Tesoro della Westmorland», al Museo della Città di Rimini, espone di fatto il nucleo centrale di quel Gran Viaggio, i cui «souvenir» dovevano necessariamente essere di comodo trasporto anche via terra tra una città e l’altra del Belpaese.
La presenza di tanti ritratti e autoritratti in primo piano sugli sfondi delle bellezze italiche sono il frutto di un vezzo narcisistico molto diffuso tra i nobili viaggiatori (una sorta di selfie ante litteram), ancor più giustificato dal fatto che molti tra questi fortunati europei studiavano belle arti; e anche musica, a integrare l’esperienza «immersiva» nella culla del Rinascimento, il che spiega la presenza in collezione di preziosi spartiti musicali di compositori italiani. Solo per dovere di cronaca, le specialità gastronomiche, parmigiano compreso, vennero acquistate dalla Companhia de Longistas di Madrid.

Per il professor Massimo Pulini, ideatore e curatore della Biennale del Disegno che presenterà in tutto 12 mostre nella città di Rimini, si tratta di una vera e propria riscoperta: «Risale a non più di vent’anni fa, grazie agli studi di José Maria Luzón Nogué e di altri storici spagnoli, la nuova e adeguata considerazione del vastissimo fondo di opere e documenti conservato presso la Real Academia di San Fernando a Madrid.

Va detto che già all’epoca dei fatti, alla fine del Settecento, il fattaccio della Westmorland venne considerato di eccezionale gravità e oggetto di disputa, di articoli a mezzo stampa e anche di fantasiosi racconti non solo nelle bettole dei marinai, ma anche nei salotti di tutta Europa».

È pur vero che quelle vicende si incastravano nel bel mezzo del conflitto franco-britannico nel Mediterraneo durante la guerra di indipendenza americana; tuttavia risultò subito evidente a tutt’Europa che quanto subito da Willis Mitchell, il comandante della Westmorland dotata di soli 26 cannoni rispetto ai 64 e 70 delle due navi francesi, fu un inequivocabile atto di pirateria. «Per lungo tempo - sottolinea Pulini - in Spagna si scelse di non ostentare quel patrimonio che era stato incorporato senza troppo vanto, ma la recente e nuova attenzione degli studi, equivalente a un ritrovamento, offre oggi ancora maggiori opportunità di racconto e di analisi». Di quel fondo composto di intere biblioteche, la Biennale esporrà delle vere e proprie «chicche», come una serie di acquerelli di William Hamilton (Chelsea, 1751 – Londra, 1801) ma soprattutto di John Robert Cozens (Londra, 1752-1797), che ritraggono laghi vulcanici della campagna romana, vedute del Vesuvio e dei Campi Flegrei, più una serie di preziosi documenti che richiamano quei fatti storici. Nel ricco patrimonio della Westmorland, registrato nel dettaglio, figuravano opere degli stessi viaggiatori inglesi, alcuni pittori professionisti come Cozens, altri proiettati verso un futuro di belle arti. Il bisogno di immortalare la propria immagine del Grand Tour, tra le rovine archeologiche o le colline della campagna romana, ebbe esempi emblematici nei dipinti di Pompeo Batoni che ritraggono Francis Basset o l’ammiraglio inglese George Legge, primo barone Dartmouth (ora al Prado).

Ma non mancavano capolavori di Raphael Mengs, di Gavin Hamilton e pressoché intero il repertorio di incisioni di Giambattista Piranesi. Oltre alle vedute, il fondo consta di numerosi spartiti originali acquistati direttamente da vari compositori, uno su tutti Joseph Lidarti, musicista italo-austriaco che risiedeva a Pisa. «Del resto, la scrittura musicale è essa stessa una forma di disegno - aggiunge il curatore - e questi spartiti manoscritti rappresentano un tesoro nel tesoro, opere di una singolare arte visuale che hanno la capacità di sprigionare suoni di un’epoca remota; un vero e proprio viaggio nel tempo».

E del resto, come ammoniva lo stesso Goethe nei suoi scritti, «se vuoi essere migliore di noi, caro amico, viaggia».

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