Roma - Bersani minaccia Monti: l’articolo 18 non si tocca. Il segretario del Pd, terrorizzato di perdere ulteriori consensi della base, nonché la sponda della Cgil, veste i panni del sindacalista duro e puro e sbarra la strada al premier. L’articolo dello Statuto dei lavorati che regola i licenziamenti senza giusta causa deve restare un totem, alla faccia di gran parte del suo partito che invece sulla questione la pensa in modo diversa; in primis il senatore Pietro Ichino, relatore di un progetto di legge che va nella direzione di una riforma proprio di quell’articolo. E Ichino non è certo isolato posto che la pensano come lui molti esponenti del partito democratico: da Enrico Letta a Walter Veltroni, da Enrico Morando a Francesco Boccia, passando per Beppe Fioroni e Paolo Gentiloni. Ma tant’è. Il segretario è lui e sul tema la pensa più o meno come la capa della Cgil secondo cui l’articolo 18 è «una norma di civiltà». Bersani sale sulle barricate e ai suoi confida: «Toccare ora quell’articolo, quando il problema è entrare nel mondo del lavoro e non uscirne, è roba da matti». Poi la minaccia: «Il governo lo capirà, lo dovrà capire. Altrimenti...». Altrimenti addio appoggio?
Bersani non lo dice ma lo fa capire allo stesso premier, incontrato a palazzo Chigi alle 18 di ieri sera. Un faccia a faccia nel quale il leader del Pd ha chiesto al premier di rivedere qualche norma in materia previdenziale. Bersani ha pressato Monti per attenuare l’impatto dello «scalone» (il salto tra vecchie e nuove regole pensionistiche) in favore dei lavoratori precoci (quelli che hanno cominciato a lavorare a 14-15 anni di età, ndr). La richiesta era di apportare le modifiche già nel decreto milleproroghe ma il premier ha risposto picche, non chiudendo tuttavia la porta ma soltanto in un successivo intervento. Come contropartita Bersani ha invece consigliato al premier di procedere spedito in materia di liberalizzazioni, assicurando un «appoggio leale e convinto». Dopo l’incontro, il leader piddino ha rincarato la dose sull’articolo 18: «Qualcuno in giro pensa che licenziando si crei meglio lavoro, questa è un’assurdità e non credo sia assolutamente nelle intenzioni del governo». Poi: «Con Monti abbiamo discusso di temi sociali, che ci stanno particolarmente a cuore, e della crescita».
Sull’articolo 18 c’è da dire che, in ogni caso, lo stesso Monti non abbia condiviso in toto l’accelerazione su un tema così delicato, imposto sia dai media sia dal suo ministro del Welfare Elsa Fornero. Tant’è vero che la ministra, che nei giorni scorsi aveva dato fuoco alle polveri con un’intervista al Corriere della Sera, ieri ha fatto marcia indietro: «Non avevo e non ho nulla in mente in particolare sull’articolo 18», ma solo aprire «la possibilità di discutere». Quanto all’intervista, la Fornero la spiega così: «Magari per inesperienza, sono caduta in una trappola giornalistica. Sono stata ingenua». E ancora: «Ho anche riletto la mia intervista e l’ho vista come un fatto positivo perché mi sembrava che prevalesse l’invito al dialogo. Non sapevo che il solo menzionare la possibilità di discutere creasse queste polemiche che francamente non meritavo. Io in quell’intervista ci ho visto un’apertura».
Di fatto il premier preferirebbe affrontare la questione all’interno di un discorso organico di riforma dell’intero mercato del lavoro, comprendendo anche ammortizzatori sociali e tutele ai lavoratori.
Un disegno da concordare con i partiti e con le parti sociali che comunque, è l’auspicio del premier, dovrebbero affrontare la questione senza pregiudizi ideologici. Invece, nonostante i richiami in questo senso siano giunti persino da Napolitano, Bersani & Camusso non sembrano dar retta al capo dello Stato. Chi tocca quell’articolo muore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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