«U n uomo fanatico della terra ben concimata in cui tiene le sue radici». Al netto del sarcasmo di cui è pervasa, questa definizione di Giovanni Testori formulata a suo tempo da Vittorini risulta oggi tra le più convincenti. Già perché allo scrittore, drammaturgo, pittore e critico darte scomparso nel 1993, la terra in cui manteneva ben salde le sue radici piaceva proprio in quanto «ben concimata», cioè in quanto impura, contaminata da unumanità imperfetta e dolente, ma proprio per questo feconda.
La terra in questione era ovviamente la Lombardia, e in particolare il suo capoluogo: quella città non ancora ripulita e sterilizzata a uso e consumo della moda che fa da sfondo ai «Segreti di Milano», il ciclo di racconti, romanzi e drammi teatrali che si conclude con «Il fabbricone». Da quel libro pubblicato nel 1961 da Feltrinelli e accolto piuttosto freddamente dalla critica, Emilio Russo, leader storico della compagnia Tieffe Teatro, ha tratto uno spettacolo in scena allOscar fino a domenica. Al centro del «Fabbricone» cè un edificio popolare posto ai margini della metropoli, una costruzione vasta almeno quanto fatiscente in cui si intrecciano le vite di due famiglie schierate su opposti fronti politici. Mentre i Villa sono dei convinti comunisti, gli Oliva sono, nella definizione di Testori, dei «mezzi preti» perennemente in lizza con i loro antagonisti.
Tra Carlo Villa e Rina Oliva nasce però un amore che sfocia in un lieto fine e che spinge i rispettivi clan a cercare una possibile conciliazione. Russo ha estratto questa storia da un «romanzo aperto», un agglomerato di vicende attraverso cui Testori schizza un affresco (non sempre riuscito) del sottoproletariato urbano degli anni Cinquanta. Lo spettacolo di Tieffe Teatro contrae lampiezza della narrazione senza affievolirne il tono epico, ma rendendolo anzi più intenso e più credibile grazie allattenta regia di marco Balbi e alle belle interpretazioni di tutti gli attori della compagnia.
Oltre al «Fabbricone», un altro scritto di Testori verrà presto messo in scena in un teatro milanese. Si tratta di «Cleopatràs», il primo dei «Tre lai», tre drammi pubblicati dopo la morte di Testori in cui è presente una sintesi dellultimo periodo creativo dello scrittore. Anche «Cleopatràs», in cartellone al Ringhiera dal 17 febbraio con la regia di Gigi DallAglio e linterpretazione di Arianna Scommegna, ha al centro lennesimo personaggio tormentato e dolente tipico dellimmaginario testoriano, ma in una chiave così ultimativa, così estrema, da renderlo pressoché unico (e persino più interessante degli altri due testi della Trilogia, «Erodiàs» e «Mater Strangosciàs»).
Questo ritorno di Testori sulla scena milanese di ricerca è il segnale di un rinato interesse verso un autore atipico, saturo di esistenza e volutamente «sporco», lontano da quel teatro minimale, formale e asettico che è tuttora di moda. La stessa impressione di vitalità (e inquietudine) traboccante emana dai «Ritratti inediti» esposti presso la Compagnia del Disegno fino al 26 marzo.
I circa venti tra dipinti e disegni degli anni Settanta raccolti in questa mostra offrono lo stesso spaccato di umanità proposto dai drammi: figure lacerate, dallinteriorità tortuosa, ma con un disperato bisogno di vita che sembra esprimersi in quello «sguardo dimezzato» presente nelle opere più interessanti. Ad accomunare i diversi soggetti (perlopiù pugili, amici e talvolta amanti dellartista) è il senso di incompletezza, reso più acuto dalluso del bianco, che svuota in un certo senso la scena, e da una pittura che non sembra mai sentirsi appagata.
Oltre che pittore, Testori è stato uno storico e critico darte iperattivo, fluviale, ricco di relazioni autentiche con gli artisti che ha lanciato e sostenuto. Sergio Battarola è stato tra questi, come documenta «Il figlio di Amleto», un film di Francesco Gatti che verrà proiettato venerdì e sabato al cinema Palestrina.
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