È singolare vedere come, in una mostra ricca di documenti e priva di opere, proprio queste, e le vite stesse degli artisti cui è dedicata, possano esser evocate con tanta forza e suggestione. «Gino Rossi e Arturo Martini. Quando larte si tace», allestita alla Fondazione Benetton di Treviso fino al 19 marzo, testimonia, attraverso strumenti audiovisivi, filmati dautore e una quantità sorprendente di materiali inediti, due importanti percorsi artistici ed esistenziali che si sono intersecati nei primi decenni del Novecento. Quando nel 1909 Arturo Martini, di qualche anno più giovane, lo incontrò a Burano, Gino Rossi aveva già vissuto la sua prima avventura parigina, sera impregnato di simbolismo e di tardo nabis, era andato a soggiornare per qualche tempo in Bretagna ripercorrendo i luoghi cari a Gauguin e alla scuola di Pont-Aven, aveva già cominciato a concepire le sue teste di donna bretone, e la famosa fanciulla col fiorellino dritto in mano.
A Venezia, Gino Rossi e Arturo Martini fecero parte del gruppo di Ca Pesaro, non senza scandali e proteste. Ma, quando Gino nel 12 volle tornare a Parigi, ci andò con Arturo, e insieme ebbero contatti con Modigliani, Boccioni, De Chirico, ed esposero al Salon dAutomne. Poi la vita avrebbe provveduto a separare le loro esistenze. Ancor prima della guerra, il primo duro smacco subito da Gino Rossi fu labbandono repentino della moglie. Poi venne la guerra, cui entrambi parteciparono, una guerra crudele, soprattutto per Gino, che dovette subire, fino al novembre del 18, un anno di prigionia al campo di Restatt. Al richiamo allordine che seguì alla guerra, il più attrezzato e concreto Martini seppe rimanere coerente a una sua ricerca interiore persino nellimpegno monumentale fascista, attraversò le tappe di tutte le sue conquiste formali e plastiche, dai teatrini metafisici come Lattesa, alla pietrificata, animalesca Sete, fino al capolavoro finale della Donna che nuota.
La mostra ripercorre questa carriera grazie alle pagine manoscritte, bene esposte in bacheche, dei Colloqui con Arturo Martini, di Gino Scarpa, svoltisi tra il 44 e il 45 e che solo nel 68 videro la luce presso Rizzoli con la prefazione di Guido Piovene. Ma lemozione maggiore dellesposizione è rappresentata dai disegni manicomiali inediti di Gino Rossi. Dopo aver aggredito la madre, nel 26, in un crollo schizofrenico, era stato ricoverato definitivamente in ospedale psichiatrico, prima a Treviso, poi a Mogliano, infine a Venezia, dove morì nel 47. Durante tutti questi ricoveri, egli si portava dietro un grosso cartoccio di giornali, bene avvoltolati come in un tubo. E su ogni pagina, foglio, pezzetto di carta, disegnava.
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