Roma - A mezzanotte pare mezzogiorno, con i bagarini impazziti, che agguantano gli ottantacinque euro del biglietto venduto sottobanco, per dare accesso a La terza madre, l’ultimo film di Dario Argento che ha fatto il pienone (con bis, ieri sera), raggiungendo, per la prima volta, lo scopo della Festa: coinvolgere la gente, farla uscire di testa (e di budget) per la voglia di esserci. Merito del master of horror capitolino, che consegna ai seguaci (alla maratona della «Notte d’Argento», presenti delegazioni europee e americane di sfegatati argentofili) un capolavoro, denso di paura e di diavoli, di streghe e di terrori ancestrali. La trama: da un’urna trovata al cimitero di Viterbo, ecco i resti di Mater Lacrimarum, la più tremenda delle streghe (Moran Atias), il cui risveglio flagella Roma con macabri eventi, finché Sarah (Asia Argento), ignara figlia d’una strega bianca (Daria Nicolodi), debellerà il pericolo, affrontandolo. «È che io riesco a dialogare benissimo con la macchia nera, dentro di me», spiega il regista, gli occhi abbottati di chi ha girato Non ho sonno, citando il filosofo Martin Heidegger. Ma di filosofico avevano poco i milletrecento, sbarcati all’Auditorium dopo il tramonto, per consegnarsi alle tenebre della maratona delle Tre Madri, iniziata con Suspiria (1977) e Inferno (1980) e proseguita con il trionfo personale di Dario e figlia Asia (protagonista de La terza madre) sul black carpet contrapposto, come il diavolo all’acqua santa, alla passerella un po’ moscia, di Tom Cruise e Robert Redford.
L’elemento curioso, nella kermesse abilmente orchestrata da Enrico Lucherini, era quello intergenerazionale. Perché a salire sulla sedia, durante le scene più sanguinarie dell’horror nelle sale dal 31 (per la notte di Halloween), urlacchiando di gusto, si notavano adolescenti e uomini di mezz’età, ugualmente assatanati. Ma anche signore e signorine, attratte dal brivido noir d’una Roma stregata, sullo schermo e fuori. Come in un gioco di specchi, la città del Cupolone e delle sette devote al maligno, qui è colta nel suo aspetto demoniaco di routine infernale, che si svela a chi abbia occhi per vederlo.
E lo sguardo sul Male ce l’ha, Dario Argento, che in questo film realizzato con la Film Commission Torino («a Roma non si può girare: di notte, ci tiravano roba in testa, gridando “annatevene!”, mentre a Torino, città magica per eccellenza, mi sono trovato così bene, che tra un po’ mi fanno sindaco!», scherza Dario), regola molti conti. Innanzitutto, con se stesso. «Dopo Suspiria, sentivo l’obbligo di fare un seguito, così è arrivato Inferno... Sono stato sei anni negli Usa, ho prodotto quattro film, tra i quali quelli di Lamberto Bava e di Michele Soavi. A un certo punto, non so come, ho visto che era il momento di raccontare una città in mano alle streghe, in preda alla disperazione», narra l’artista classe 1940, figlio del produttore Salvatore e della fotografa Elda Luxardo, dalla quale ha appreso l’arte di dominare la luce, quando lei fotografava le dive.
Il maestro dell’orrore non allude alla miseria politica in cui la Città Eterna versa. Per quanto, la scena iperrealistica in cui Sarah è inseguita, alla Stazione Termini, da un gruppo di streghe lesbo/punk, sfoglia l’album delle vessazioni (già Fellini colse, con angoscia, il sadismo della capitale). «Non so se sia un riflesso della realtà che viviamo: lui s’ispira al suo inconscio, in questo film, che è il più duro dei suoi. Quale salvezza, girare con papà: mi sento spalleggiata», fa eco Asia, molto brava nel ruolo della studiosa di restauro, immersa nel delirio di gente che si mena a sangue, mentre una madre butta a fiume il suo bebè e lei, inquadrata nelle sinistre notti romane, ha una scimmietta satanica dietro... «Tutti abbiamo dentro una spessa macchia nera», riprende Dario «e, con la mia, ho un dialogo. Anche Edgar Allan Poe, per me fonte primaria, aveva la macchia nera. Io, devo raccontare le tante cose perfide, che ho dentro. Però, quando esco dai miei incubi, sono una brava persona: come tutti. Forse, sono un po’ schizofrenico: c’è un Dario Argento che sta lì, è il papà di Asia. E vorrei incontrarlo».
Di fatto, c’è una riunione di famiglia (la Nicolodi è madre di Asia), anche per via dei sodali Sergio Stivaletti (effetti speciali) e Claudio Simonetti,
le cui musiche dal vivo hanno accompagnato blasfemie e parafernalia alla Notte d’Argento. Ma il lato trasgressivo di Asia? «Una pizza!», dice lei. Che ha intimato a Tarantino di citare il cinema di papà, quando lo copia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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