Alberto Pasolini Zanelli
da Washington
Un mandato di comparizione per i «responsabili dei servizi di sicurezza siriani»: questa la richiesta del «pubblico ministero» dellOnu che conduce linchiesta sullassassinio dellex premier libanese Rafik Hariri. Potrebbe essere una notarella a margine, se non fosse per il fatto che i servizi di sicurezza siriani sono guidati direttamente dalla famiglia del presidente Bashar Al-Assad. E pertanto nei sei ordini giudiziari compaiono i nomi del cognato del presidente, Assef Shawqat, che dirige i servizi segreti, e addirittura del fratello, Maher Al-Assad, comandante della Guardia Repubblicana. Inoltre il magistrato inquirente chiede che questi personaggi non vengano interrogati a Damasco, come è stato finora, bensì nel quartier generale degli inquirenti a Beirut, cioè in Libano. Dove si trova in visita un sottosegretario di Stato americano, Elizabeth Dibble, che ha subito commentato: «La palla è adesso nel campo della Siria».
Ci sono tutte le premesse per un terremoto politico. Il governo siriano si è subito dichiarato pronto a «collaborare pienamente» con linchiesta, ma non si è finora pronunciato sulla prospettiva di spedire alcuni fra i massimi esponenti del regime in un territorio fino a ieri sostanzialmente occupato e oggi potenzialmente nemico; anche perché la risoluzione 1636 del Consiglio di Sicurezza spiega chiaramente che debbono essere «arrestati i responsabili o le persone sospettate di essere implicate nella preparazione, nel finanziamento, nellorganizzazione o nellattuazione» dellassassinio di Hariri.
Lumiliazione potrebbe essere troppo forte per un regime che è in questo momento debole e diviso. Sono ben lontani i tempi in cui il vecchio Hafez Assad faceva il buono e il cattivo tempo a Damasco, e anche a Beirut. Il figlio e successore non ha né la volontà né i mezzi per proseguire quella linea e cerca di compensare queste carenze avviando una politica di caute «aperture»: aprendo, per esempio, la prospettiva della restituzione della cittadinanza siriana ai curdi messi finora al bando. Maher Al Assad, inoltre, è considerato da molti a Damasco «mentalmente instabile» e quindi pericoloso, ma almeno finora il fratello non sembra avere la possibilità né la tempra di eliminarlo dal potere. Che anche in Siria (comera in Irak) è riservato a un clan ristretto (un giornale americano lha paragonato direttamente alla mafia) le cui basi per di più sono ristrette dallappartenenza di tutti a una setta religiosa, quella alawita, strettamente minoritaria in un Paese a larga maggioranza sunnita. Tale debolezza costituisce una tentazione per i superfalchi americani, che da tempo parlano di Damasco come della «prossima tappa» ed esercitano pressioni per un intervento militare sulla falsariga dellIrak, cominciando con bombardamenti e incursioni attraverso la frontiera siro-irachena, in unarea dove sono concentrati migliaia di marine, impegnati ufficialmente a costruire una «cortina dacciaio» tra i due Paesi per impedire lafflusso di volontari che vadano a rimpolpare le organizzazioni terroristiche irachene.
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