Roma - Quel che davvero non piace al Cavaliere – a parte ovviamente un condanna che seppure «ingiusta» considera «scontata» come quella per il processo Mills – è «l’aria che si respira in queste settimane». Così, nel giorno in cui la procura di Roma chiede il rinvio a giudizio per il Cavaliere e il figlio Pier Silvio con l’accusa di evasione fiscale nell’inchiesta sui diritti tv e alla vigilia del triplo appuntamento previsto per domani al palazzo di giustizia di Milano (dove sono in programma udienze per il processo Ruby, il cosiddetto Ruby2 e il procedimento sulle foto di Villa Certosa), l’ex premier decide di tornare in campo sul fronte giustizia con toni e modi che nell’ultimo mese aveva decisamente evitato visto che anche nella lettera pubblicata ieri su Il Giornale le sue parole conservavano comunque una certa prudenza.
Intervenendo a La telefonata di Belpietro, invece, Berlusconi non gira per nulla intorno al problema. E affonda colpi. Perché – ripete ai suoi chiuso in quel di Arcore – il «tribunale speciale di Milano vuole eliminarmi dalla vita politica e infangarmi». Non si spiegherebbe altrimenti un accerchiamento giudiziario che va avanti a tambur battente su tutti i fronti, al punto che il processo Ruby – ben lontano dal prescriversi – ha un timing di udienze da far concorrenza a Mills. Ecco perché, nonostante l’appello di due giorni fa di Napolitano, il Cavaliere resta perplesso.
L’ha apprezzato, certo. Ma non lo considera abbastanza. Per dirla con le parole di Cicchitto, «esiste un pericoloso squilibrio fra le giuste indicazioni date da Napolitano e lo sforzo verificatosi a livello politico se non altro di evitare il peggioramento della situazione, e invece l’azione politico-giudiziaria sviluppata a pieno ritmo da alcune procure e da alcuni tribunali per accentuare in tutti i modi lo scontro». Traduzione: seppure pubblicamente Berlusconi dice che «si tratta di questioni distinte» è chiaro che è difficile andare avanti se il «clima diverso» è in una sola direzione.
Ecco perché il Cavaliere aspetta qualche segnale dal Quirinale che di questo «nuovo corso» s’è fatto garante esponendosi su più fronti. Anche perché le indicazioni arrivate fino ad ora dal governo non sembrano averlo convinto troppo. In particolare le nomine del Guardasigilli Severino che come capo di gabinetto ha scelto Filippo Grisolia e come capo degli ispettori Stefania Di Tomassi. Esponenti di Md. Ed ecco perché ieri Berlusconi ha rimesso sul tavolo delle riforme che il governo Monti dovrebbe affrontare anche quella della giustizia. Se davvero s’aprisse quel capitolo sarebbe un bel problema per l’esecutivo.
È dunque «quest’aria» la ragione vera dell’affondo di ieri. Un modo per battere un colpo e dare un segnale. Così - pur evitando i toni che usa nei tanti sfoghi privati - definisce il processo Mills «solo l’ultimo atto di una persecuzione giudiziaria e di una diffamazione senza limiti». Un processo «frutto della determinazione di un pm che non ha fatto nulla per nascondere un pregiudizio politico nei miei confronti». C’è stata, insomma, «una diffamazione giudiziaria anche a livello internazionale senza confronto». Ed è proprio questo il punto. Perché quel che Berlusconi davvero teme del processo Mills - già prescritto da tre giorni, almeno secondo i calcoli cosidetti «imparziali» (non quelli di Ghedini né quelli del pm De Pasquale) - è che il 25 febbraio il collegio giudicante possa comunque andare avanti con la condanna ignorando che il reato è estinto.
Quando poi lo si certificherà anche in via giudiziaria - cioè fra molti mesi - l’effetto «sputtanamento» sarà comunque stato ottenuto visto che la notizia di una condanna è ovviamente destinata a fare il giro del mondo.Ecco perché – se Ghedini e Longo alla fine dovessero decidere di non rinunciare al mandato per guadagnare altro tempo - Berlusconi potrebbe anche decidere di intervenire in aula. E dire la sua.
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