Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica
Quel pasticciaccio brutto degli assegni di via della Scrofa. L’ultimo giallo ambientato dalle parti di Alleanza nazionale emerge tra le righe di una serie di carte giudiziarie, cause di lavoro e querele per diffamazione. Tra i protagonisti, una donna di origine romena, Ana Maria Lutescu, già militante missina nella storica sezione Trieste-Salario. E Roberto Iannarilli - cugino di Daniela Di Sotto, all’epoca moglie di Gianfranco Fini - titolare di una società, la Emmesei, che «gestiva» l’ufficio gadget del partito, con tanto di punto vendita al mezzanino di via della Scrofa, dove la Lutescu lavorava. E un ruolo nella storia tocca agli amministratori del partito, Donato Lamorte e Francesco Pontone, già sugli scudi per la vicenda di Montecarlo. Oltre a Fini, testimone silente. La storia si dipana in due fasi. La prima tra il 1995 e il 1997, all’indomani della svolta di Fiuggi, che aveva visto nascere An dalle ceneri del Msi. La seconda una decina di anni dopo, quando la signora Lutescu scrive una lettera personale a Fini per «denunciare» alcune anomalie di cui era stata testimone.
Proprio la missiva racconta la trama del giallo. «Caro presidente Gianfranco Fini – scrive la Lutescu a marzo del 2006 – mi sono permessa di disturbarla perché la stimo e la considero (...) una persona promotrice della giustizia e della verità». La donna ricorda di aver lavorato «per tre anni» all’ufficio gadget, con Roberto Iannarilli. Quest’ultimo, scrive la Lutescu, Fini dovrebbe conoscerlo «molto bene, dal momento che si firmava “dirigente del dipartimento immagine e propaganda del partito An” e vantava una relazione di parentela nei Suoi confronti come “cugino” dalla parte di Sua moglie». E, dopo alcune lamentele relative al proprio inquadramento nell’ufficio (la Lutescu, mai pagata per le sue prestazioni, ha fatto due volte causa per farsi riconoscere come dipendente, invano), arriva la «denuncia» di quella che aveva l’aria di essere una irregolarità nelle operazioni dell’ufficio gadget.
«Ho sempre avuto delle perplessità riguardo gli assegni non trasferibili di somme anche consistenti indirizzati ad An e/o alla direzione nazionale di An girati dall’onorevole Donato Lamorte, allora capo segreteria della direzione nazionale, a favore di Iannarilli». Assegni che, continua la Lutescu, «insieme a quelli intestati alla Emmesei srl venivano versati da me nel conto privato di Roberto Iannarilli, su indicazione dello stesso, presso la Banca di Roma, agenzia 89 di via della Scrofa; certe volte anche i contributi dei simpatizzanti avevano la medesima destinazione».
Il sospetto insinuato dalla lettera è pesante: assegni non trasferibili intestati al partito, dunque «girabili» solo dall’amministratore Pontone, sarebbero finiti, senza la firma di Pontone, sul conto corrente personale di Iannarilli. Tutto regolare? Per non dire dell’ultimo accenno: i «contributi dei simpatizzanti» non dovrebbero a nessun titolo finire in tasca all’amministratore della srl che si occupa dei gadget di partito. Con la lettera la Lutescu, voleva avvisare l’ignaro grande capo Fini di un possibile gioco poco chiaro che almeno in passato era avvenuto a pochi metri dal suo stesso ufficio di via della Scrofa. E, per assicurarsi che la missiva fosse ritenuta credibile, la signora d’origine romena la invia per conoscenza anche a Maurizio Gasparri e a Donato Lamorte, oltre che allo stesso Iannarilli.
Ma, sorpresa, l’unica risposta alla lettera non arriva da Fini, ma da un ufficiale giudiziario. Ana Maria finisce denunciata per diffamazione da Donato Lamorte, che dalla lettera si ritiene accusato di aver «contrariamente al vero» distratto «a fini personali denaro destinato ad An». La Lutescu si becca un decreto penale di condanna emesso dal gip su richiesta del pm. Ovviamente la donna non ci sta, presenta un atto di opposizione e va a processo. I verbali del procedimento li leggete a parte. Lamorte nega di aver mai firmato assegni. Pontone, unico titolato a girarli, idem. Iannarilli nega di aver commesso illeciti, ma non esclude che la Lutescu abbia depositato assegni per suo conto e sul suo conto. Ma la destinazione di quelle somme non è al centro della causa, che è per diffamazione. La Lutescu viene assolta «perché il fatto non sussiste».
La sentenza spiega che «le espressioni indicate nel capo di imputazione non offendono affatto la reputazione di Lamorte, mentre riguardo a Iannarilli, vero destinatario delle accuse mosse dalla Lutescu, non risulta sia stata sporta querela dal diretto interessato».
Forte dell’assoluzione, la Lutescu scrive ancora a Fini, il 3 giugno scorso, per chiedergli di fare luce sulle presunte condotte distrattive di soldi di An da parte del suo parente acquisito. Ma, a oggi, non ha avuto risposte.(1 – continua)
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.