«Gli assistenti sociali? Troppo pochi»

Il presidente dell’ordine, Ghisalberti: «Il lavoro aumenta e noi invece diminuiamo. Corsi di “obiettività”? Siamo già abbastanza qualificati»

«Ben vengano i corsi di aggiornamento. Li chiediamo anche noi, come qualunque altra categoria professionale, ma tengo a precisare che gli assistenti sociali sono già qualificati a svolgere il proprio lavoro». A prendere la parola nel dibattito che si è creato dopo le dichiarazioni della dirigente al servizio Sostegno alla Famiglia del comune, Carmela Madaffari, che auspica corsi di «obiettività» per gli assistenti sociali, è la presidente del consiglio regionale della Lombardia, Renata Ghisalberti. E lo fa al termine di una manifestazione di protesta organizzata sotto le finestre di largo Treves, sede dei Servizi sociali di Milano. Sono 4.100 gli assistenti sociali iscritti oggi all’ordine regionale della Lombardia. «Un numero in costante diminuzione - precisa Renata Ghisalberti - a fronte di un carico di lavoro che invece è aumentato».
Milano è una metropoli dove le aree di intervento dei servizi sociali e dei minori in particolare si stanno moltiplicando. Ci sono le famiglie straniere con i loro bagagli culturali che spesso non si integrano con i nostri, ci sono bambini che arrivano a Milano senza rete familiare. Ma sono aumentati anche i casi di difficoltà oggettive per le famiglie milanesi. Difficoltà legate alla casa, al lavoro e soprattutto alla disoccupazione. E poi abusi, maltrattamenti, fenomeni che purtroppo interessano in maniera trasversale tutte le categorie sociali.
Carmela Madaffari aveva puntato il dito contro i 1.706 bambini affidati alle comunità. «Troppi aveva detto» auspicando un ritorno agli affidi familiari, spesso ritenuti più idonei rispetto all’accoglienza dei bambini. «Noi diciamo però che non esiste una soluzione valida per ogni tipo di situazione - continua la presidente -. Anzi. Imputare agli assistenti sociali la responsabilità di aver mandato in comunità troppi minori non è corretto. Perché quella di togliere alle famiglie i bambini è una decisione che non è presa da noi, ma dal Tribunale dei minori per il quale noi spesso lavoriamo. Sono i giudici che anche in base alle nostre relazioni decidono o meno l’affidamento o il ricovero in comunità alloggio». L’affido, dunque, è solo una delle soluzioni. Ma come mai non ha successo nelle famiglie milanesi. «Il problema anche in questo caso è complesso - spiega Ghisalberti -. Certo è che la vita di una metropoli come Milano con orari di lavoro lunghi, spazi dell’abitare ristretti e molteplici impegni non favorisce troppo questo genere di soluzione».
Le famiglie milanesi dunque sono spesso troppo impegnate per potersi aprire a un compito delicato e faticoso come quello dell’affido.

«È difficile anche agire secondo quel concetto fondamentale nell’affido che è “amo quel bambino senza appropriarmene”. E non sono tanti quelli che riescono a vivere una relazione così importante, come quella di accogliere un bimbo in casa propria sapendo che prima o poi finisce».

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