Assolto presunto kamikaze

da Milano

Due settimane fa aveva messo in allarme gli investigatori bolognesi. Il tunisino Tarek A., - ma il nome è un rebus - aveva detto al telefono: «Vado a Milano a sposarmi, se Dio mi protegge... Comparve l’angelo della morte e mi disse: “Devo prendere la tua anima“». Per la Procura di Bologna quel dialogo, intercettato, prefigurava un possibile attentato. Meglio prevenire. Così il nordafricano era stato fermato a Milano.
Ieri a Milano il primo verdetto: l’aspirante kamikaze è stato assolto dall’accusa di aver violato la legge sull’immigrazione Bossi-Fini. Per il giudice «il fatto non sussiste». Per carità, Tarek A., alias Abdel Zaki, è un clandestino. Non ci sono dubbi. Non solo: era stato già arrestato ben due volte, non per terrorismo, ma proprio per aver fatto carta straccia delle norme. Era stato espulso ma non se n’era andato entro i cinque giorni canonici.
Ma proprio qui sta il punto. Il giudice ha rovesciato il punto di osservazione della legge e, appoggiandosi alla Corte costituzionale, ha messo in carico allo Stato il mancato rispetto della Bossi-Fini. Come mai l’uomo non è stato parcheggiato in un centro di permanenza temporanea, così da poter accertare senza ombre di dubbio la sua identità? In particolare, il questore di Piacenza, prima di intimargli di lasciare l’Italia entro cinque giorni, «avrebbe dovuto disporre il trattenimento in un Cpt senza alcuna possibilità alternativa». Insomma, se le istituzioni non hanno completato la procedura avviata con il decreto, la colpa non deve ricadere sul clandestino. Punto.
Del resto alcuni irregolari sono stati scagionati recentemente perché i giudici ancora una volta hanno capovolto l’interpretazione della norma, addossando la sua applicazione allo Stato. È vero che i clandestini in questione non hanno lasciato l’Italia dopo essere stati espulsi, ma se non hanno ubbidito è perché non avevano i soldi per salire su un aereo. Dunque, in mancanza di una colletta, la Bossi-Fini vale, talvolta, come le grida manzoniane. È accaduto questa settimana a Torino dove una prostituta moldava se l’è cavata con la più sconcertante delle motivazioni: la povertà.
Tarek A., che fra parentesi, sempre che sia lui, avrebbe precedenti per furto, lesioni e spaccio, trascorrerà comunque i prossimi giorni in un Cpt. Poi verrà rimpatriato. Sempre per ordine del giudice che l’ha assolto. «La telefonata - ha spiegato lui - era una telefonata normale in cui raccontavo un sogno». Altro che aspirante kamikaze. Quando gli hanno mostrato un foglietto con alcune frasi inquietanti, lui ha risposto così: «Sono frasi che mi sono passate in mente, come una poesia.

Non pensavo di morire. È stupido mettere uno in galera perché racconta un sogno. Io volevo andare via. Ma ogni volta che volevo lasciare l’Italia mi hanno sempre arrestato e quindi non ci sono riuscito». Ora gli hanno dato pure ragione.

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