Roma - «Ha presente la favola della ricottina?».
Quella della contadinella che va al mercato con la sua ricottina, sogna di venderla e di reinvestire i suoi guadagni fino a diventare ricchissima; e mentre pensa a tutto ciò la ricottina le cade e lei perde tutto?
«Quella. Bene, la vicenda dell’asta per i diritti televisivi mi ricorda quella favola. I diritti sono la ricottina, e chi sogna di far guadagnare allo Stato miliardi di euro è la contadina. Stiamo parlando di fantasie».
La spiega così Vincenzo Zeno-Zencovich, professore di diritto comparato all’Università Roma Tre ed esperto di media e nuove tecnologie. Con una favoletta che potremmo ribattezzare dei fantastiliardi. Quelli che secondo alcuni si potrebbero ricavare annullando il cosiddetto beauty contest (il «concorso di bellezza che premia i requisiti dei concorrenti e non la loro offerta) per l’assegnazione delle frequenze televisive e indicendo un’asta che coinvolgerebbe non solo i soliti noti (Rai, Mediaset, Telecom) ma anche altri soggetti. Sedici, quattro, tre, sei. La ridda di miliardi negli ultimi giorni è stata frenetica. Così come è stata frequente la compulsazione del libro dei sogni su come utilizzare il presunto tesoretto digitale: in cima alla lista, la possibilità di rendere meno traumatica la riforma del sistema pensionistico. Peccato che per Zeno-Zencovich tutto ciò sia solo utopia.
Professore, cosa c’è che non va nell’indire un’asta per l’assegnazione delle frequenze per la tv digitale terrestre?
«Prima di tutto siamo di fronte a una palese illegittimità. La gara secondo il sistema del beauty contest è già in corso e numerose imprese, tra le quali due quotate in Borsa, vi stanno partecipando. La revoca del bando arrecherebbe loro un grave danno in termini di investimenti pianificati, assunzioni, acquisizione di programmi del quale finirebbero per chiedere un risarcimento allo Stato. Ma c’è di più».
Dica, dica.
«Il beauty contest non solo poggia su precisi atti di legge che il Parmento dovrebbe abrogare, ma è costituito su una delibera dell’Agcom concordata fin nel dettaglio con la Commissione europea. Annullando il beauty contest il governo si porrebbe in contraddizione con l’authority e soprattutto con un atto che ci è stato chiesto da Bruxelles».
Ma c’è chi dice: negli altri Paesi le frequenze televisive si assegnano con le aste.
«Non è vero. Nessun Paese europeo ha indetto l’asta per le frequenze».
I fautori dell’asta sostengono però che l’asta per la banda larga mobile con le tecnologie del 4G ha portato nelle casse dello Stato quasi 4 miliardi e che si potrebbe fare lo stesso con la tv digitale...
«Ma nelle telecomunicazioni la rete è quasi tutto, c’è una struttura dei costi più semplice e un pubblico affamato che garantisce grandi ricavi. Una frequenza tv quanto vale? Di per sé nulla, visto che non dà certezza in ordine al ritorno economico. Nella televisione la rete è solo l’inizio, l’investimento grosso è sulla produzione o sull’acquisto di contenuti».
Sta dicendo che a nessuno converrebbe acquistare a peso d’oro frequenze televisive?
«Io posso anche decidere di mettere all’asta per un milione di euro il ritratto di mio nonno, ma se poi nessuno lo acquista non mi posso sorprendere. Veda, il caso classico è Telecom: Bernabè è disposto a sborsare 1,2 miliardi per le frequenze di telecomunicazione, ma se uno gli chiedesse di acquistare una frequenza televisiva lui risponderebbe: “Ma quanto mi date voi, piuttosto?”».
Insomma, scordiamoci di fare cassa così.
«Mi viene voglia di ricordare che io assieme ad altri ho gestito la gara Umts nel 2000 che ha portato in cassa 14 miliardi, e quella 4g che ha portato 4 miliardi. Questi sono soldi veri che io ho contribuito a procurare. Per tutto quanto il resto, le chiacchiere (e i soldi) stanno a zero».
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