Gli astensionisti e lo spauracchio della «Prodacchia»

Essendo uno che ha votato da quando ha avuto l’età per farlo e cioè dal giugno del 1953 senza mancare una politica, una amministrativa e un referendum, considerando più un dovere che un diritto recarsi alle urne essendo il voto il pilastro della democrazia, non riesco a capire la mentalità degli astensionisti e degli indecisi dei quali tanto si parla. Berlusconi ha dichiarato che se si riescono a stanare il centrodestra è certo di vincere anche le elezioni del prossimo aprile. Ma è tanto difficile?


Non confonda, caro Potenza, gli indecisi con gli assenteisti. Domenica 9 aprile i primi andranno a votare. I secondi andranno al mare. Gli indecisi, ne abbiamo già parlato, appartengono a quell’area, calcolata dagli studiosi di flussi elettorali in un milione e trecentomila-due milioni di elettori, che non aderiscono culturalmente e ideologicamente a un preciso schieramento, ma si spostano da un partito all’altro, da una coalizione all’altra. Il passaggio, quasi mai definitivo, dipende dal giudizio maturato su uomini e programmi, ma anche da umori o interessi (legittimi, va da sé). Elettori di tal fatta, che argomentano in maniera sistematica la propria scelta, sono poco influenzati dalle chiamate alle armi (e ne sa qualcosa la sinistra): li convincono i fatti, non gli stati d’animo. L’astensionista è di tutt’altra pasta. Si bigiano le elezioni per tre motivi: perché si ha l’impressione che i giochi (vittoria o sconfitta) siano già fatti; perché si ritiene che, destra o sinistra, tanto non cambia niente; perché cosa conterà mai un voto in più o in meno e dunque tanto vale andarsela a godere al mare o fuoriporta. Lo scettico, il disincantato rinunciatario, è il più difficile da convertire. Pur essendo un attivo responsabile di ciò che depreca, il «tanto non cambia niente», persiste nella sua onanistica stizza, sordo a ogni esortazione a farlo fruttare, il suo diritto di voto. Gli assenteisti che appartengono alla altre due tipologie sono invece recuperabili. La storia del voto singolo che varrebbe praticamente zero è seducente: in effetti cosa può mai contare un voto sui 50 milioni e 300mila potenziali? Però è lo stesso ragionamento del salumaio birbone. Quello che prima di pesarti l’etto di prosciutto pone sul piatto della bilancia un paio di fogli di carta. Quanto peserà un foglio di carta? Niente. Incide negativamente sui cento grammi di prosciutto per una frazione infinitesimale. E quanta carta consuma, il salumaio? A chili. E quanto costa un chilo di carta? Mettiamo che costi 10. E mettiamo che il prosciutto costi 1.000. A forza di «niente» il salumaio venderà quindi a 1.000 ciò che gli è costato 10. Chi non conosce o magari non ha per amico un astensionista più o meno cronico? Uno di quelli che, appunto, deprezzano il loro (prezioso) voto con la storia che uno in più uno in meno non fanno differenza? Uno di quelli che sanno già come andrà e che quindi ritengono inutile tentare di evitare la sconfitta o rendere più consistente la vittoria? Uno di quelli, insomma, che se le inventano tutte per mettersi a posto la coscienza e disertare le urne? Ebbene dobbiamo persuaderli – e non credo ci voglia molto – che questa volta anche il loro «niente» fa peso. Molto peso. Quella di aprile poteva essere una elezione come un’altra, ma la sinistra ne ha fatto una questione di vita o di morte, una lotta all’ultimo sangue, senza prigionieri. È riuscita, con la sua campagna di odio, disprezzo e livore a resuscitare i fantasmi del 1948. Anche allora sentivano d’avere già in tasca la vittoria. Ma nessuno andò al mare, quella domenica, nessuno disertò e gli assestammo una sonora batosta salvando il Paese destinato, in caso di successo dei rossi, a finire come la Cecoslovacchia. Oggi è diverso, ma se non si vota tutti, se non si convincono gli astensionisti a rinunciare alla gita, se non la Cecoslovacchia sarà la Prodacchia. Che è come dire dalla padella nelle braci.


Paolo Granzotto

Ps: Leggo ora che Umberto Eco ha dichiarato che lascerà l’Italia se il 9 aprile dovesse vincere la destra. Gli intellettuali di sinistra non sono nuovi a simili sparate, però Eco merita di esser messo alla prova. E allora, amici lettori, diamoci dentro.

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