Atene verso il voto anticipato ma ora Bruxelles vuole garanzie

Dopo il sì alla manovra, fissate le elezioni ad aprile. L’Europa chiede al governo un impegno scritto per evitare che in primavera torni tutto in discussione

Atene verso il voto anticipato  ma ora Bruxelles vuole garanzie

Tu chiamale, se vuoi, elezioni. La Grecia ha deciso: voto anticipato in aprile, quando un’intera nazione potrà decidere se punire coloro che domenica scorsa hanno approvato misure di austerity tanto draconiane da sembrare una sorta di harakiri economico. Ma, qualunque sarà l’esito delle urne, il destino del Paese appare segnato. In cambio dell’assegno da 130 miliardi, Atene dovrà impegnarsi a implementare le riforme anche dopo l’appuntamento elettorale. La troika Ue-Bce-Fmi ha espressamente chiesto «una lettera di intenti». Aut-aut: nessuna promessa verbale, tutto messo nero su bianco e scolpito sulla pietra dei documenti ufficiali.

In questi termini ragiona anche l’Eurogruppo, rimasto prima choccato dall’inconcludente bozza di intesa sui tagli presentata dal governo di coalizione guidato da Lucas Papademos nel vertice di mercoledì scorso e poi dalle dimissioni a catena, il giorno dopo, di ben cinque ministri. Domani i ministri finanziari torneranno a riunirsi per decidere se sbloccare la seconda tranche di aiuti, e lo scongelamento - fanno sapere fonti di Bruxelles - avverrà solo nel caso in cui tutte le condizioni poste alla Grecia siano state rispettate. Non sarà quindi sufficiente il sì ricevuto dall’ultima manovra monstre: Atene dovrà sottoporre anche l’intesa siglata con i creditori privati sulla ristrutturazione del debito, e chiarire in che modo intende tagliare altri 325 milioni di spesa pubblica (tra le ipotesi, un giro di vite alle iperboliche uscite per la difesa, pari al 3% del Pil).

Sullo swap il governo avrebbe già raggiunto un’intesa di massima con le banche, sulla base di un taglio del capitale (il cosiddetto haircut) tra il 70 e il 75% che consentirebbe di abbattere l’indebitamento per una cifra vicina ai 100 miliardi. I dettagli dell’accordo, però, non sono stati comunicati, anche se i Paesi dell’euro zona stanno facendo pressione per sapere quanti creditori privati (per lo più banche e assicurazioni) hanno accettato lo scambio di bond con il Paese ellenico. «Lo swap sui bond - ha spiegato ieri il portavoce del governo Pantelis Kapsis - sarà concluso a marzo».

Insomma, una deadline deve essere ancora individuata. E ciò fa il gioco degli ultra-rigoristi come il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, convinto che il via libera al salvataggio miliardario non verrà dato «almeno fino all’inizio di marzo». Atene sarà così tenuta pericolosamente sulla corda fino a pochi giorni dal 20 marzo, quando arriveranno a scadenza sirtaki-bond per 14,5 miliardi. In caso di mancato rimborso il default sarà inevitabile.
Per Papademos si tratta dunque di una corsa contro il tempo, nella speranza che sia erogata in fretta almeno una parte di aiuti sufficiente a garantire la copertura dei titoli giunti a maturazione. Non si può del resto escludere che i 130 miliardi (o 145, a seconda dell’entità dello swap) vengano versati a singhiozzo, proprio con lo scopo di verificare se la Grecia avrà tenuto fede agli impegni di risanamento assunti.

Anche le Borse, del resto, hanno fiutato ieri che sono ancora molti i tasselli del mosaico destinati a trovare giusta collocazione. Domani, tra l’altro, gli ispettori della troika arriveranno a Lisbona. Il Portogallo è un altro fronte caldo della crisi, al punto che non si escludono nuovi aiuti. Dopo un avvio brillante, i mercati hanno infatti chiuso poco variati (ferma Milano), con la sola eccezione di Atene (+4,65%), mentre lo spread Btp-Bund è leggermente sceso a quota 367.

Il segno più del listino greco fa a pugni con le cicatrici lasciate sulla capitale dagli scontri di domenica. Oltre 130 feriti, interi palazzi distrutti dal fuoco, decine e decine di focolai di incendio in negozi e uffici che significano altra gente senza più un lavoro. Il sindaco Giorgos Kaminis ha parlato di «danni irreparabili», riferendosi allo scenario di devastazione. Ma forse altrettanto irreparabili sono i danni economici e morali inferti a un’intera nazione.

Alla logica ragionieristica di Angela Merkel («Per noi è molto importante che la Grecia abbia una chance nel 2020 di arrivare a un rapporto debito-pil del 120%»), si contrappone la realtà di un Paese condannato non solo alla recessione, ma anche a una povertà diffusa e senza più speranza.

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