Almeno un risultato si è raggiunto: luniversità italiana è diventata un problema da risolvere. Tutte le volte che dal dopoguerra a oggi il governo ha gettato unocchiata ai nostri atenei, è stato per cercare di risolvere qualche emergenza, mettendo una pezza per rifare nuovo un abito consunto. Anche dopo la contestazione del 68, quando i venti della ribellione si erano placati, invece di affrontare di petto i problemi delluniversità, come era accaduto in tutta Europa, i governi hanno continuato ad emanare leggine per fare contenti ora i professori, ora gli studenti.
Sembra paradossale, o soltanto una provocazione, ma la domanda che oggi ci si deve porre è semplicemente questa: a cosa deve servire luniversità?
Si ricorderà che lattenzione sulluniversità incomincia a crescere alcuni mesi or sono, quando diventa finalmente di pubblico dominio, attraverso i mezzi dinformazione, il modo scandaloso, clientelare e nepotistico in cui si svolgono da anni i concorsi per reclutare i docenti universitari, e non sarà sfuggito che questo giornale è stato in prima linea nel denunciare quellindecenza per troppo tempo coperta da interessi corporativi. Il vaso è stato scoperchiato, e il ministro ha pensato bene di annullare i concorsi, che avrebbero immesso in ruolo uno stuolo di raccomandati e pochi giovani di valore, e di avviare intanto una ricognizione sulla realtà accademica per provare a riformarla.
Nel frattempo sono stati pubblicati libri sul problema università, a testimonianza del fatto che ormai è impensabile procedere con soluzioni legislative parziali e dettate dallemotività dellemergenza. Tra questi studi si distingue il volume Sotto le ceneri delluniversità (Boroli Editore, pagg. 207, euro 14), scritto a quattro mani da Adriano De Maio e Lodovico Festa: il primo, professore al Politecnico di Milano e già rettore dellateneo, il secondo editorialista e analista politico.
In una parte, il libro illustra la storia delluniversità italiana, dalla formazione dello Stato unitario fino ai nostri giorni. Emerge un quadro desolante. Sembra che solo Gentile, con la sua riforma, avesse capito il ruolo fondamentale delluniversità in una nazione che si avventurava sulle strade della modernità. La sua legge è organica e rispecchia lidea di società che a quel tempo sintendeva costruire. Dalle scuole elementari alluniversità, i gradi distruzione favorivano la formazione di eccellenze, che sarebbero state la classe dirigente dello Stato, lavviamento professionale e una solida, generale conoscenza umanistica di base.
È un dato di fatto che le leggi successive non abbiano mai avuto la capacità di sostituire la riforma Gentile con unaltrettanto organica impostazione, e ciò proprio perché la nazione repubblicana non si è mai chiesta davvero cosa volesse davvero dalla sua scuola e dalla sua università. Tantè che De Maio e Festa, sulla base delle loro indiscusse competenze ed esperienze, si chiedono ancora oggi se sia meglio ununiversità di massa o di élite, se sia utile affiancare alluniversità di massa centri di formazione per leccellenza, se servano i dipartimenti, se abbiano un senso i dottorati di ricerca, se sia possibile tenere affiancate didattica e ricerca: tutti problemi che si sarebbero dovuti affrontare e risolvere sessantanni fa o, almeno, dopo il 68, come è accaduto nelle grandi nazioni europee.
Per chi lavora nelluniversità, il libro è sconfortante, e non a caso il suo sottotitolo è Una riforma necessaria, quasi impossibile. E poi, come si dice, non cè limite al peggio. Quello che non è riuscito a distruggere il 68, è riuscito a farlo la legge Zecchino-Berlinguer di dieci anni fa. Si dovevano aumentare i laureati per portarli ai livelli europei: quella legge li ha diminuiti. Si doveva abbassare la media delletà dei nostri laureati per portarla a livello europeo: quella legge lha alzata. Si doveva aumentare la qualità della ricerca e della didattica perché non si rimanesse agli ultimi posti in Europa: quella legge ci ha confinato allultimo posto senza pietà. Si doveva restituire dignità al reclutamento dei docenti: quella legge ha favorito i più indecenti clientelismi e nepotismi.
Stiamo parlando della legge del 3+2, cioè quella che ha introdotto la laurea breve (di cui pochissimi sanno cosa fare) e una specialistica (della quale, tutti coloro che la conseguono, sperano nel valore salvifico... dalla disoccupazione). Naturalmente De Maio e Festa la condannano senza appello, sottolineando tutte le disfunzioni che ha provocato. E allora, leggendo gli articoli della prima legge dello Stato unitario sulluniversità emanata da Casati nel 1859, e poi quella di Gentile, in cui si coglie una visione teorica rigorosa e una pragmaticità ineccepibile, viene da chiedersi chi siano i consulenti dei ministri che con lucida pervicacia hanno demolito pietra dopo pietra luniversità italiana.
Adesso a ricostruire luniversità sta provando il ministro Gelmini, che di università non si era mai interessato prima di entrare nellaustero palazzo di viale Trastevere. Speriamo che almeno lei sia più fortunata nella scelta dei consulenti.
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