da Istanbul
Era tutto troppo tranquillo. La Turchia sembrava quasi tornata a vivere dopo le azioni terroristiche del Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, che dall'inizio dell'anno con i suoi attacchi ha provocato oltre 60 vittime, tutti militari. E invece ieri pomeriggio dal Genelkurmay Baskanligi, lo Stato Maggiore turco, è arrivata la notizia che l'incubo non è ancora finito.
In un comunicato le alte reggenze dell'esercito hanno confermato le notizie battute dai media locali. Le forze armate della Mezzaluna hanno effettuato un'incursione di terra, coadiuvata anche da elicotteri, di poche ore a Çukurca, nel sud-est del Paese, sul confine fra Turchia e Nord Irak. Stando a quanto dichiarato si sarebbe trattato di un'operazione lampo e poco invasiva per costringere alla fuga una sessantina di ribelli del Pkk che si trovavano vicino al confine. Il comunicato sottolinea anche che i reparti della Mezzaluna torneranno a operare se la situazione dovesse richiederlo. Molti quotidiani del Paese affermano che l'attacco sarebbe stato compiuto per difesa preventiva, ossia per eliminare alla radice il pericolo di qualche azione terroristica.
La versione dell'esercito turco è stata smentita da Massoud Barzani, presidente della Regione autonoma curda del Nord Irak e pizzicato settimana scorsa dai media locali mentre faceva shopping di lusso in via Montenapoleone a Milano. Il leader curdo ha negato che le armate turche abbiano oltrepassato il confine, aggiungendo che la zona dove è avvenuto l'attacco è sotto il controllo dell'esercito e negando implicitamente la possibile presenza di guerriglieri.
L'attacco di ieri riporta sul filo del rasoio le tensioni fra Ankara e Nord Irak. È passato meno di un mese dalla Conferenza di Istanbul, che era riuscita a stoppare un'incursione armata turca considerata ormai imminente, e dalla visita del premier Recep Tayyip Erdogan a Washington. In quell'occasione il primo ministro aveva ricevuto dal presidente Bush rassicurazioni circa l'appoggio degli Stati Uniti nella lotta contro le azioni terroristiche del Pkk. L'esecutivo islamico-moderato fino a questo momento è riuscito a evitare l'attacco armato di terra in grande stile, conducendo bombardamenti «chirurgici» e cercando di privilegiare la soluzione diplomatica, dando vita a una piattaforma operativa che coinvolgesse anche Stati Uniti e Irak.
Ma l'attacco di ieri rischia di destabilizzare nuovamente una situazione che stava faticosamente cercando di ricomporsi. Il governo guidato da Recep Tayyip Erdogan sa benissimo che non può condurre un'operazione su larga scala e per due motivi. Il primo è che invadendo il Nord Irak la Turchia rischia di tirarsi contro tutta la comunità internazionale. In secondo luogo l'attacco armato renderebbe difficilmente gestibile anche la situazione interna del Paese. La Corte Costituzionale sta esaminando un dossier presentato dalla Yargitay, la Cassazione turca, che chiede di chiudere il Dtp, il Partito curdo per la società democratica, accusato di attentare all'unità dello Stato turco. Tre deputati del Dtp, nelle prossime settimane, potrebbero venire privati della loro immunità parlamentare e processati per associazione a organizzazione terroristica e rischiano diversi anni di reclusione.
Una situazione che per Erdogan non è solo sul punto di esplodere, ma sta anche riportando in primo piano due suoi noti e tenaci oppositori, l'esercito e la magistratura, in altre parole i poteri laici della Repubblica turca.
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