Attenti, adesso lo Stato vuole fare il genitore

Niente scappellotti, bimbi troppo grassi, madri troppo anziane. Così i tribunali vogliono insegnarci a vivere

Attenti, adesso lo Stato 
vuole fare il genitore

Il tempo in cui viviamo sarà probabilmente ricordato per molte nequizie - la crisi economica, quella morale, quella politica - ma forse anche per il ruolo preponderante di uno Stato che interferisce gravemente con la vita privata di singoli e famiglie.
Questa indebita intromissione avviene spesso attraverso l'operato dei Tribunali dei Minori i quali, per lo scopo che li caratterizza, sono i normali canali di comunicazione fra lo Stato e le famiglie.

Vedi il caso della piccola di un anno e mezzo tolta ai genitori a Torino: il tribunale ha dichiarato lo stato di adattabilità dopo un episodio di abbandono, ma nella sentenza non si insiste tanto da un caso specifico (la bimba che, lasciata in auto dal padre per alcuni minuti mentre scaricava i sacchi della spesa, piangeva a dirotto), quanto su un esame psicologico dei due genitori, giudicati «inadeguati». La cosa filosoficamente interessante - e insieme inquietante - si colloca proprio qui: si tratta infatti di un giudizio anticipato formulato a partire da visite ispettive che i consulenti hanno operato nei confronti dei due coniugi. Siamo insomma ormai ai fasti di un neoilluminismo assoluto che si autocelebra, nella pretesa di poter anticipare quale sarà il comportamento dei due nel corso della loro esperienza genitoriale: in questo caso, negativo.
Vero è che i due - avanti negli anni (la moglie di 57 anni ed il marito di 70) - si son recati all'estero per essere legittimati alla procreazione assistita (e qui emerge la bontà della nostra tanto vituperata legge 40, che pone limiti di età all'esercizio di tali pratiche), ma una volta nata la bambina, ci vuol del fegato a sottrarla ai genitori naturali.

Eppure è ciò che è accaduto, a nulla rilevando che una elementare saggezza, nutrita d'esperienza, ammonisce che a fare i genitori si impara in un modo soltanto: facendo, giorno per giorno, i genitori.
Come in tante altre dimensioni dell'esperienza umana, si pretende qui di poter insegnare come comportarsi e cosa fare in ogni occasione della vita, immaginando (ed è qui il peccato d'origine di ogni illuminismo idealistico) che basti sapere, per saper fare; mentre è vero l'opposto: chi non sappia anche fare, in realtà nulla sa e nulla potrà mai insegnare.

Se poi si pensa a quanto accaduto da poco in Inghilterra e in Svezia, la preoccupazione aumenta.
Nel primo caso, il Tribunale ha tolto ai genitori legittimi due figli perché valutati «troppo grassi», nel secondo è stato arrestato e trattenuto per tre giorni un papà italiano che aveva pubblicamente dato uno scappellotto al figlio.

Anche in questi casi, apparentemente eterogenei, il problema si ripresenta. Il potere pubblico si intromette nella vita privata delle famiglie con la pretesa di dettare comportamenti parametrati a un'astratta regola pre-data e inconoscibile che, per sovrappiù, nulla ha a che fare né col diritto privato né col diritto pubblico, visto che entrambe le circostanze non sono chiaramente punite da nessun codice.

Viviamo, insomma, un'epoca culturalmente schizoide, in cui i limiti fra pubblico e privato, sui quali si erano costruite le solide impalcature giuridiche dell'ordinamento dello Stato moderno sembrano esser messi pesantemente in discussione, se non addirittura negati in linea di principio.

Il «pubblico» mostra di non saper più identificarsi e di non conoscere più il perimetro inderogabile delle proprie competenze, mentre il «privato» soffre le indebite intrusioni così perpetrate ai suoi danni, smarrendosi in una sostanziale perdita di coscienza e credibilità sociale.

Eppure, si suole dire che i Tribunali sono il luogo in cui si proclama e si ritrova la «misura» perduta, in cui si dà a ciascuno il suo: oggi, purtroppo non pare sia così.

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