Controstorie

Attenzione: ci sono quattro Chernobyl che minacciano un'altra catastrofe

Le centrali nucleari ucraine sono vecchie, consumate e fragili. E secondo i ricercatori ci sono otto probabilità su dieci che entro cinque anni una di queste possa collassare

Giovanni Masini

da Kiev

Quando si parla della catastrofe nucleare di Chernobyl, in Ucraina i paragoni con la Seconda guerra mondiale si sprecano. Come il secondo conflitto mondiale, infatti, anche il più grave incidente nella storia dell'energia atomica rientra fra le grandi tragedie del nostro tempo, a cui in molti, in Europa dell'Est, oppongono una sorta di rassegnata quanto fatalistica sopportazione. Le sciagure volute dal Fato si abbattono sull'uomo senza che nulla possa impedirlo, sembrano pensare alcuni fra i più anziani contadini di queste terre. Ma da qualche tempo gli scienziati di mezza Europa mettono in guardia contro un possibile nuovo incidente che stavolta, forse, si può evitare. Da mesi ormai infatti si susseguono gli appelli - non sempre ascoltati - per un intervento di messa in sicurezza della rete delle centrali nucleari ucraine, che sono tornate a preoccupare gli esperti per il futuro di tutto il Vecchio Continente.

A oggi in Ucraina sono attive quattro centrali con 15 reattori, dopo che nel 2000 è stato chiuso definitivamente l'impianto di Chernobyl. Tutte le strutture ancora in funzione, però, furono costruite in epoca sovietica e necessitano di essere ammodernate con urgenza. «Le centrali ucraine sono vecchie - spiega al Giornale Dmitry Marunich, co-presidente del Fondo ucraino per la strategia energetica - Non dovrebbero essere utilizzate per più di 30 anni, ma la vita di sette reattori è già stata prolungata. Fra pochi anni alcuni di essi non saranno più utilizzabili e andranno spenti una volta per tutte». È probabile che sia stata proprio l'obsolescenza degli impianti a causare uno degli incidenti con maggiori conseguenze negli ultimi anni: nel tardo autunno 2014 uno dei reattori della centrale di Zaporizzja, nel sud dell'Ucraina, venne spento per qualche tempo, provocando un black out che lasciò al buio vaste aree del Paese e gettò nel panico decine di migliaia di persone.

Pochi mesi dopo, la centrale fece richiesta per una licenza di estensione della vita utile del reattore, alimentando le speculazioni di chi sosteneva che i problemi fossero causati dal degrado di strutture troppo vecchie. La difficoltà di accertare le cause di questo e di altri incidenti analoghi - che, va detto, non hanno mai provocato fughe radioattive di cui si abbia conoscenza né hanno mai riguardato l'attività nucleare degli impianti - è aumentata dalla mancanza di dati certi. L'autorevole rivista anglosassone Energy Research & Social Science, in un paper del 2016, evidenzia come «gli incidenti alle centrali nucleari ucraine non vengono registrati nei database, nonostante i media statali ne abbiano dato notizia», sottolineando, se mai ve ne fosse bisogno, la necessità di «fonti di dati affidabili centralizzate e completamente trasparenti».

La scarsità di notizie certe, così, alimenta diverse ricostruzioni in merito alle possibili cause dei guasti ai reattori. Dopo l'incidente del 2014, in molti attribuirono il black out alla scarsa efficienza della rete elettrica ucraina. Proprio il tema dell'energia elettrica, però, evidenzia un altro problema fondamentale: l'imprescindibilità dell'atomo per assicurare elettricità a tutto il Paese. Nel 2011 il nucleare garantiva il 47,2% dell'energia elettrica prodotta in Ucraina. Con la guerra del Donbass, però, Kiev ha perso i ricchi giacimenti carboniferi del sud-est e questa percentuale è salita al 60%. Il presidente Petro Poroshenko ha salutato questo dato «con orgoglio», celebrando la presunta indipendenza energetica del Paese. Tuttavia si tratta di una notizia che deve preoccupare: all'aumentato fabbisogno di energia, infatti, le centrali non possono opporre un incremento della capacità produttiva. Se anche le centrali lavorassero con un fattore di capacità produttiva superiore al 90%, secondo Marunich riuscirebbero comunque a produrre poco meno del 70% della richiesta espressa al picco dei consumi. Con lo smantellamento dei reattori più obsoleti, spiega, «nel 2025 avremmo una perdita di energia tale da non essere più compensabile con la produzione degli altri impianti».

Per questa e per altre ragioni fisici e ingegneri insistono a chiedere la costruzione di nuovi impianti. Anche perché l'invecchiamento e l'eccessiva domanda non rappresentano certo gli unici problemi per i reattori ucraini. Fra le questioni più spinose c'è senza dubbio quella del combustibile. Per liberarsi dalla dipendenza energetica da Mosca, i vari governi succedutisi al potere negli ultimi anni si sono rivolti alla società statunitense Westinghouse. Già nel 2012, però, le barre di combustibile prodotte dagli americani si rivelarono inutilizzabili: la tecnologia con cui erano stati costruiti gli impianti ucraini non era incompatibile con quelle a stelle e strisce. Così il combustibile Westinghouse era stato messo al bando, con una perdita per le casse pubbliche di 175 milioni di dollari. Ora però l'accordo con la società Usa è stato rinnovato e prolungato fino al 2020, fra lo scetticismo di quanti temono per la sicurezza delle operazioni di fissione. Tuttavia, oltre alle difficoltà a reperire il combustibile nuovo, le autorità di Kiev devono anche trovare una soluzione per lo smaltimento delle scorie, che fino al 2014 venivano inviate in Russia e che ora devono essere processate in un impianto ancora da costruire.

Proprio la tensione geopolitica con Mosca, peraltro, è all'origine di un altro dei maggiori problemi di gestioni delle centrali. Costruiti da scienziati russi, i reattori ora necessitano di una manutenzione specifica che non sempre i tecnici ucraini sarebbero in grado di assicurare. Questa, almeno, è la denuncia dell'ingegnere Alexander Artyukov, che parlando alla testata russa Vesti lancia l'allarme: «Dopo il 2014 il governo ucraino ha rescisso il contratto con la società che ha sviluppato i reattori. Questo rende impossibile un controllo di routine completo che può essere fatto solo dai progettisti». Le autorità di Kiev, dal canto loro, assicurano che è «assolutamente impossibile» che si ripeta un incidente della potenza di quello di Chernobyl e insistono piuttosto sulle garanzie offerte dagli osservatori internazionali. La ricerca di Erss, tuttavia, in base a calcoli statistici sui rischi di nuovi incidenti, giunge a conclusioni inquietanti: «Sebbene il 1986 sia stato un anno di svolta per quanto riguarda il numero di incidenti, questo non ha necessariamente ridimensionato le proporzioni dei singoli casi. L'analisi dei dati indica la possibilità di un incidente importante in una delle centrali ucraine. C'è ad esempio l'80% di possibilità di un incidente, tipo quello accaduto a Three Mile Island nel 1979, nelle centrali di Rovno o dell'Ucraina meridionale nei prossimi cinque anni.

Ed è alla luce di queste parole che si può meglio comprendere l'appello lanciato da Marunich: «Se l'Europa non risolverà i problemi del nucleare ucraino nei prossimi anni, sarà tutto il Continente a doversi preoccupare.

E non solo l'Ucraina».

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