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Cambio di passo. Uno statale su 5 vede la pensione

Un rapporto realizzato da Excelsior con Unioncamere, intitolato Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine, ha reso noto che nei prossimi cinque anni ben 676 mila dipendenti andranno in pensione

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Un rapporto realizzato da Excelsior con Unioncamere, intitolato Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine, ha reso noto che nei prossimi cinque anni ben 676 mila dipendenti andranno in pensione. La notizia è molto positiva, poiché già di per sé lascia sperare in un ringiovanimento della macchina statale.

Purtroppo, però, il rapporto prevede che nello stesso quinquennio i nuovi assunti saranno a 738 mila, con il risultato che il settore pubblico che avrebbe un grande bisogno di essere ridimensionato si espanderà ancora di più. Questo è un pericolo da scongiurare, perché non avremo mai meno spesa pubblica e meno debito, insieme a una riduzione delle imposte, finché l'esercito dei lavoratori statali sarà tanto esteso.

Tale svolta è urgente per l'Italia nel suo insieme, ma soprattutto per il Mezzogiorno, che più del resto del Paese patisce la dipendenza dall'impiego statale e la politicizzazione dell'esistenza. Dobbiamo avere ben chiaro che non soltanto possiamo avere gli stessi servizi pubblici con meno spesa e meno assunzioni, ma che molte delle attività svolte dalla burocrazia non sono a nostro favore, ma al contrario ostacolano quanti hanno voglia di fare.

Da decenni si parla di de-burocratizzare questo Paese. Al contempo pochi sembrano comprendere che per realizzare questo obiettivo si deve fare il possibile non soltanto per tagliare i cosiddetti sprechi (che sono indifendibili per definizione), ma anche per eliminare o quanto meno ridimensionare ciò che impatta negativamente sul mercato, sulla proprietà privata, sui diritti individuali.

È egualmente importante fare attenzione alla qualità. Quando si dice che abbiamo bisogno di funzionari attrezzati alle sfide del XXI secolo, in sostanza si intende sottolineare che ogni apparato statale dovrà essere chiamato a competere con realtà private: per loro natura più dinamiche, innovative, orientate a soddisfare il pubblico.

D'altro canto, perché si possa nutrire qualche speranza sulla tenuta delle società europee, nonostante il declino che stanno conoscendo, è necessario che il settore pubblico sia chiamato a competere con la libera impresa. Non c'è campo oggi occupato dagli apparati pubblici in cui una volta eliminate le barriere all'ingresso i privati non sappiano trovare spazio e guadagnare credito. Perfino in ambito universitario oggi il principale ateneo per numero di iscritti non è più La Sapienza di Roma, ma il gruppo Multiversity (che è attivo nel settore telematico ed è controllato da un fondo inglese).

È allora indispensabile che le nuove assunzioni statali non coprano tutti i posti lasciati liberi. Bisogna cogliere questa opportunità per ridimensionare il peso della politica e della burocrazia nella società. Oltre a ciò, è bene che quanti otterranno un posto fisso lo trovino un po' meno garantito, ma per far ciò bisogna che si mettano gli ospedali, le scuole e tutte le altre strutture pubbliche in competizione con quanto vive del consenso dei clienti.

Perché abbiamo bisogno di meno dipendenti pubblici, e anche un po' meno pubblici.

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