
Il quesito referendario sulla cittadinanza a cinque anni rischia di essere «aggirato» dalla solita giurisprudenza creativa. Oggi e domani ci saranno i referendum popolari abrogativi previsti dall’articolo 75 della Costituzione su cinque quesiti: quattro in materia di lavoro e uno sulla cittadinanza. Il quesito chiede che di ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza in Italia degli stranieri per acquisire la cittadinanza italiana, come era prima della riforma degli anni Novanta.
Secondo l’avvocato Vincenzo Conforti, specialista di Diritto internazionale, la questione della cittadinanza si intreccia con la discendenza diretta da un avo, ovvero lo «ius sanguinis». Chi vive all’estero e dimostra di avere un qualsiasi parente nato in Italia può chiedere la cittadinanza, l’esecutivo - su proposta di Forza Italia - ha intenzione di limitare a due le generazioni per evitare le truffe del passato, con false certificazioni da piccoli Comuni, aumentate considerevolmente da Argentina, Venezuela e Brasile tanto che i Consolati sono andati in tilt e si sono trovati costretti a rivolgersi alle sezioni Immigrazione dei tribunali, paralizzandoli.
Il decreto legge 36 del 28 marzo scorso (convertito con la legge 74 del 23 maggio 2025) all’articolo 3-bis nella legge generale sulla cittadinanza n. 91/1992 ha stabilito una deroga generale al principio dello «ius sanguinis» per le persone nate all’estero. In base alla nuova disposizione, chi è nato all’estero e possiede altra cittadinanza, è considerato non aver mai acquistato la cittadinanza italiana, salvo che ricorra una delle seguenti condizioni: presentazione della domanda entro il 27 marzo 2025; pendenza di un procedimento giudiziale alla stessa data; nascita in Italia di un genitore o adottante cittadino; residenza in Italia per almeno due anni continuativi di un genitore o adottante cittadino prima della nascita/adozione; nascita in Italia di un ascendente di primo grado dei genitori/adottanti cittadini.
C’è anche il tema dei 600 euro necessari per i giudizi di per ciascun richiedente la cittadinanza, minorenni compresi. Secondo Conforti la misura potrebbe essere in palese violazione del diritto di difesa e in contrasto con i principi generali di determinazione del contributo unificato, oltre ad essere anche lesivo di un diritto fondamentale quale la cittadinanza.
Sui contenziosi a l’anno scorso si è pronunciata la Corte di Cassazione che – rompendo un consolidato orientamento giurisprudenziale – ha affermato che la naturalizzazione dell’avo italiano durante la minore età del figlio implica l’interruzione della linea di continuità della trasmissione della cittadinanza, con la conseguenza che nessuno dei discendenti può chiederne il suo riconoscimento.
Il ministero dell’Interno ha subito emanato una circolare che ha imposto ai Consolati e ai Comuni di rifiutare la richiesta di cittadinanza presentata da discendenti di avo italiano naturalizzato durante la minore età di suo figlio. La questione si è incartata con due successive pronunce, una ad agosto e una lo scorso aprile, della stessa Cassazione, che si è sostanzialmente autosmentita, rinviando la definizione della questione ad una pubblica udienza in attesa di fissazione.
Lo scorso 26 novembre 2024, ricorda al Giornale il giurista, il Tribunale di Bologna ha sollevato una questione di costituzionalità, chiedendosi se i tempi dello «ius sanguinis» fossero allineati con il diritto Ue, visto che la cittadinanza «è una condizione che richiede un legame effettivo con il territorio ed esso – secondo il giudice che ha sollevato la questione – si manterrebbe fino alla seconda generazione rispetto all’avo emigrato». La Corte Costituzionale ne parlerà il prossimo 24 giugno. «Difficile che la questione superi il vaglio della Consulta, giacché è noto che la materia della cittadinanza in Italia non è regolata da norme costituzionali ma è frutto della discrezionalità del legislatore che la disciplina in aderenza ai principi generali della Costituzione. Ciò, di fatto, impedisce alla Corte Costituzionale di pronunciarsi ed affermare se sia corretto limitare o meno il numero di generazioni per conseguire la cittadinanza».
Ma anche la deroga introdotta con il decreto 36 potrebbe presto essere dichiarato incostituzionale «non solo per l’uso improprio della decretazione d’urgenza in una materia fondamentale quale il diritto di cittadinanza, ma soprattutto per l’irragionevole disparità di trattamento tra cittadini italiani nati in Italia e cittadini italiani nati all’estero e/o titolari di doppia cittadinanza e per la sostanziale retroattività della norma che rischia di incidere su diritti già acquisiti», con una potenziale incompatibilità con le norme Ue perché «la perdita retroattiva della cittadinanza italiana comporta la perdita automatica dello status di cittadino dell’Unione europea, con la conseguente privazione dei diritti di libera circolazione, soggiorno, lavoro e non discriminazione nel territorio degli Stati membri».
Nella conversione in legge è stato anche modificato l’articolo 9, comma 1, lettera a-bis della legge 91/992 che sancisce la concessione di cittadinanza per naturalizzazione «allo straniero nato nel territorio della Repubblica che vi risiede legalmente da almeno tre anni». Un passaggio che stride sia con il quesito in discussione, sia con le sole due generazioni dall’ascendente emigrato, perché secondo Conforti «legittima gli stranieri, senza radici italiane, a chiedere la cittadinanza per il solo fatto di essere nati e risiedere in Italia legalmente da almeno 3 anni».
Ricordiamo che in Italia vige una sorta di «ius soli temperato» previsto dall’articolo 4, comma 2, della legge 91/1992, che dà la cittadinanza allo straniero nato in Italia che vi abbia risieduto (senza interruzioni) fino al compimento del diciottesimo anno. È anche vero che nella norma è previsto l’ingresso ed il soggiorno per lavoro subordinato, al di fuori del decreto Flussi, degli stranieri senza limiti generazionali, discendenti di cittadini italiani e in possesso di cittadinanza di un Paese di destinazione di rilevanti flussi di emigrazione italiana, che possono così ottenere la cittadinanza dopo un periodo di residenza, variabile in base alla provenienza europea o extraeuropea o al ricorrere di altre circostanze.
Ecco perché il quesito sulla cittadinanza, indipendentemente dall’esito quorum sì-quorum no, rischia di essere superato dalle potenziali sentenze di Cassazione e Consulta che potrebbero cancellare limitazioni considerate arbitrarie o discriminatorie. È il fiscalista Silvio Ceci, componente del Comitato Civico «Milano Cittadinanza Giusta», ad aver interessato del tema - attraverso i buoni uffici di Sofia Loren e Robert De Niro - la National Italian American Foundation.