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In università arriva il gioco buonista: studenti nei panni dei migranti

Un "gioco esperienziale" organizzato da Fondazione Empatia all'Università Bicocca per rivivere il viaggio dei migranti verso l'Italia. Ma, tra inevitabili semplificazioni, il tema migrazione rischia di essere banalizzato

In università arriva il gioco buonista: gli studenti nei panni dei migranti Esclusiva

All'università ora si "gioca" a fare i profughi. Valigia in mano e via, verso l'Italia. Verso il Paese che accoglie sempre e più di altri, spesso senza nemmeno sentirsi dire grazie. Mentre le cronache raccontano la complessità dei fenomeni migratori e della loro gestione politica, in un ateneo milanese c'è chi ha organizzato un "percorso creativo" per far vivere agli studenti (e a chi ne avesse voglia) l'esperienza dei richiedenti asilo diretti verso casa nostra. Lo hanno chiamato "gioco immersivo", anche se di ludico c'è ben poco. L'iniziativa, intitolata Corridoi, ha aperto ieri i battenti all'Università Bicocca, in attesa di approdare - dal 22 al 24 novembre prossimi - alla Statale in via Festa del Perdono. Negli spazi frequentati da matricole e laureandi, la Fondazione Empatia Milano ha allestito un tragitto a ostacoli con la pretesa di evocare il viaggio affrontato da quanti arrivano sul nostro territorio.

Il "gioco" sull'immigrazione

Per capirne di più, ci siamo fatti visitatori dell'installazione e abbiamo preso parte al "gioco" organizzato con il sostegno dell'Associazione Lato B. Al nostro arrivo, abbiamo ricevuto tra le mani una valigia: pronti, via. All'avventura. Nel percorso contrassegnato da musiche e immagini, ci siamo imbattuti in un giovane attore che – parlando in lingua straniera – ci intimava di compilare la necessaria documentazione per essere identificati dalle autorità italiane. Un ostacolo non da poco, per chi sogna un utopistico mondo senza frontiere. In realtà, quelle carte sono spesso l'unico strumento che il nostro Paese ha per conoscere chi arriva, secondo i canoni della legalità.

Passata l'ideale frontiera, siamo stati invitati a riflettere sulle difficoltà legate all'integrazione, tema talmente articolato da risultare soggetto a inevitabili semplificazioni. "Come nero mi sento trattato in modo diverso, sull’autobus ho l’impressione che la gente non voglia sedersi accanto a me", abbiamo letto ad esempio nella biografia di uno dei migranti che hanno realmente ispirato il racconto proposto. Tra gli ostacoli del percorso vengono citati i documenti da presentare, la burocrazia, l'impossibilità di comunicare in una lingua diversa e quindi incomprensibile. C'è da ricordare però che, per quanto questi passaggi possano risultare difficili, per entrare in un Paese straniero ci sono dalle leggi da rispettare: rappresentano una sicurezza sia per i migranti regolari sia per il Paese che li accoglie.

Alla fine dell'itinerario, dopo uno slalom tra corde tese e oggetti di vario genere (scarpe consumate, mascherine anti-Covid e sagome di cartone), siamo giunti nello spazio dedicato ai buoni auspici dei visitatori. Foglietti di carta pieni di sentimenti buonisti e qualcuno che evidentemente non ha colto il senso del percorso: c'è chi aveva formulato la speranza di "viaggiare di più per riempire la valigia di esperienze" - un desiderio che quantomeno stride se accostato al tema migratorio - altri di "volere stare con gli amici", "lavorare di meno". Qualcuno sperava pure di superare l'imminente sessione d'esame: le sorti dei migranti impensieriscono, certo, ma le domande del prof ancora di più.

Le quattro storie

I Corridoi allestiti da Fondazione Empatia conducono i visitatori a scoprire quattro storie di migrazioni: quelle di Sunday, arrivato dal Senegal, di Sofia dal Brasile, di Elias dalla Siria e di Lydia dal Sudafrica. Tutte vicende accomunate dal fatto che i protagonisti sono arrivati in Italia seguendo percorsi sicuri e in alcuni casi già tracciati, in questo caso quello dei corridoi universitari aperti in Italia dall’Unhcr (l’agenzia Onu di cui Laura Boldrini fu portavoce). I quattro ragazzi, infatti, sono tutti studenti universitari arrivati per via legale, che si trovano in Italia ospiti di vari atenei. Ma, come noto, non tutti i profughi hanno l'intenzione o l'opportunità di approdare in Italia con modalità legali e riconosciute dalle istituzioni. Spesso l'arrivo sul nostro territorio avviene irregolarmente, con sistemi che vanno ad arricchire i trafficanti di esseri umani e a creare cortocircuiti politici non facili da disinnecare. A farne le spese, peraltro, sono in primis gli stessi richiedenti asilo, trattati come merci. Su questi aspetti dirimenti e di strettissima attualità, l'installazione allestita alla Bicocca non si è soffermata nello specifico, ricadendo nel difetto di offrire un racconto parziale del fenomeno descritto.

Le polemiche

Già prima che l'iniziativa aprisse i battenti, Fratelli d'Italia aveva lamentato il rischio di una banalizzazione del tema, auspicando invece la promozione di un "messaggio più ragionato". Soprattutto se un tema complesso come quello delle migrazioni viene ridotto a "gioco". "Il nome 'gioco' in questo caso può essere fraintesa, e ne prendiamo atto", ha detto ai nostri microfoni Petra Mezzetti, presidente di Fondazione Empatia. "In realtà ci sono storie vere. Abbiamo voluto raccontare l'esperienza di alcuni studenti arrivati per vie legali", ha affermato la curatrice, disponibile a spiegarci il suo punto di vista. "Di sicuro le migrazioni sono un tema complesso e lo sappiamo bene, non era nostra intenzione banalizzare l'argomento ma invitare tutti a fare il percorso, a empatizzare con altre storie".

Al di là dell'impatto emotivo suscitato e degli spunti di riflessione offerti, anche alcune studentesse ci hanno confidato qualche perplessità sull'impostazione del progetto, del quale - ci hanno spiegato - non sapevano nulla prima di ieri. "Non so se questa sia la maniera giusta di affrontare il tema migrazione", ci racconta una di loro. "Il fatto di dover prendere una valigia in mano all'inizio è un po' ridicolo. Inoltre per il nome può sembrare all'apparenza un gioco.

Una volta arrivati alla fine del percorso si capisce l'intento emozionale dell'installazione, ma - ammette - non è immediato".

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