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Cosa resta del papà? La fortuna dei figli di conoscere i limiti

Diciannove marzo, festa del papà. I lavoretti realizzati a scuola sono pronti da tempo e i bambini sono agitati per questo giorno speciale

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Diciannove marzo, festa del papà. I lavoretti realizzati a scuola sono pronti da tempo e i bambini sono agitati per questo giorno speciale. Eccoci, ci siamo. Tanti auguri, papà. Ma cosa resta davvero di questa figura oggi tanto vituperata (che cos'è la lotta al patriarcato se non una lotta contro il padre e, quindi, contro la forma più completa di uomo)? Poco o nulla.

Lo aveva capito Honoré de Balzac che, di fronte alla decapitazione di Luigi XVI nel 1793, aveva affermato che, insieme al re, erano stati ghigliottinati tutti i padri di famiglia. Così è stato, come hanno dimostrato i numerosi studi che lo psicologo Claudio Risé ha dedicato al padre, definito giustamente l'assente inaccettabile. Assente perché scomparso dalla vita familiare sia per sua scelta (quanti sono gli uomini ripiegati su se stessi, incapaci di dedicarsi ai figli?) sia perché svantaggiati in alcuni contesti (come per esempio le separazioni). Inaccettabile perché, senza di lui, la società resta orfana. Monca.

A partire dalla Seconda guerra mondiale, infatti, gli uomini hanno perso oltre il 40% del proprio tempo libero. Tempo che non dedicavano solo a se stessi, ma anche alla loro famiglia. Ora quel tempo è svanito. E, per i padri, è svanita anche la possibilità di educare, provocando danni enormi. Citiamo i dati forniti dal sociologo Giuliano Guzzo, autore di Maschio etero bianco e cattolico. L'uomo colpevole di tutto (Il Timone): «I ragazzi abbandonati dai padri hanno più difficoltà accademiche, un quoziente intellettivo più basso e la metà dei bambini ricoverati per malattie psichiatriche hanno precisamente questo in comune: l'assenza paterna». Ma non solo: «Tra gli adolescenti senza papà si manifestano più facilmente comportamenti aggressivi e sono più alti i tassi di consumo di marijuana. Tra i bambini coi padri biologici assenti aumenta inoltre il rischio di subire abusi e la presenza di patrigni da questo punto di vista non aiuta, anzi».

Perché, alla fine, il padre incarna il limite. Meglio: l'autorità. Che non ha nulla a che fare con l'autoritarismo ma con la protezione. Come nota giustamente Lorenzo Rizzi in Ce la caveremo, vero papà? Sì, ce la caveremo (Cantagalli): «Auctoritas viene dal latino augère, cioè proprio far crescere». E la prima cosa da fare per far crescere qualcosa è proteggerlo. Ma soprattutto, se si vuole davvero far crescere qualcosa, meglio ancora qualcuno, è fondamentale esserci. Lo hanno capito tanti papà che, soprattutto dopo il Covid, hanno deciso di usare lo smart working per stare di più in famiglia in modo tale da raggiungere un giusto equilibrio con il lavoro per educare, ovvero condurre fuori, i propri figli. Aiutarli a comprendere perché sono al mondo e, infine, lasciarli andare.

Come nel più classico dei giochi che i padri fanno coi figli: li prendono, li lanciano per aria e, tendenzialmente, li riprendono. Si guardano negli occhi. I piccoli provano il brivido del vuoto ma non hanno paura. Imparano così che la vita è un rischio che vale la pena correre. Anche Ettore, prima di andare a morire per mano di Achille, fa lo stesso gioco con Astianatte. Perché l'uomo è sempre lo stesso da quando ha messo piede sulla terra.

E pure i padri e i figli.

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