
Gentile Direttore Feltri, sono un padre di famiglia e cittadino comune. Ho letto con incredulità la notizia dell'assessore al Sociale di Padova, Margherita Colonnello, che per celebrare la nascita del figlio ha appeso un fiocco arcobaleno al posto del classico fiocco rosa o azzurro, dichiarando che «sarà lui a scegliere chi essere». Ora, io non sono né filosofo né intellettuale, ma mi chiedo: dove stiamo andando? È diventato offensivo dire che un neonato è maschio o femmina? Stiamo davvero cedendo al delirio secondo cui il sesso biologico è un'opinione? Vorrei sapere cosa ne pensa Lei, che di buonsenso e di realtà ne ha sempre masticata parecchia.
Luigi Romano
Caro Luigi,
tu ti stupisci del fiocco arcobaleno? Io ormai mi stupisco che i bambini vengano ancora partoriti e non materializzati con una stampante 3D in versione gender fluid. Siamo finiti dentro un incubo sociologico in cui l'evidenza biologica è considerata un atto di oppressione, e la realtà una violenza da correggere col fiocchetto ideologico. Un tempo, la nascita era un fatto naturale, gioioso, limpido: nasceva un bimbo, lo si accoglieva, lo si amava. Oggi no. Oggi nasce un soggetto non meglio identificato, che, secondo mamma assessore, «deciderà lui chi essere», come se nel frattempo dovessimo trattarlo da algoritmo in aggiornamento. Ma vediamo il punto. Chi parla di libertà in questi casi, in realtà sta imponendo un dogma nuovo: il culto della confusione. Perché non dire che un neonato è maschio? Lo è. Punto.
Non è un'opinione, non è una variabile, non è una sensazione dell'utero. È un fatto. Come il giorno e la notte. Come il latte e il vino. Come il cervello e chi non lo usa. Eppure oggi, in nome dell'inclusività, ci vogliono tutti incerti, sradicati, senza identità, senza radici, senza nemmeno un genere definito. È l'uguaglianza spinta all'assurdo: per essere uguali, dobbiamo essere indistinti. Ma non è uguaglianza, è anestesia collettiva. È una forma sofisticata di omologazione, dove per «liberarci» da ogni differenza, ci vogliono tutti identici, amorfi, neutri, smarriti. E la chiamano libertà. Ma la libertà di non sapere nemmeno se sei maschio o femmina è solo la libertà di impazzire con il benestare delle istituzioni.
Certo, ci diranno che è un atto «simbolico». Tuttavia i simboli contano. Eccome. E quando si cancella la differenza tra maschile e femminile, non si sta aprendo la mente. Si sta svuotando il cervello.
Del resto, questa ideologia woke, che si nasconde dietro arcobaleni e «inclusione», non è altro che un totalitarismo travestito da progresso. Un mondo dove non puoi dire che una donna è donna, dove il sesso biologico è «opprimente», dove tutto è fluido, tranne il buonsenso, che è evaporato. Io, da parte mia, mi auguro che quel bambino cresca sano, felice e con due certezze: che è nato maschio, e che sua madre è stata più ideologica che intelligente. Perché un mondo che nega persino l'evidenza del corpo non si sta evolvendo. Sta regredendo.
E io, da vecchio giornalista, ti dirò una cosa: finché qualcuno riderà di queste follie, ci sarà ancora speranza. Ma quando ci prenderemo tutti sul serio, anche davanti a un fiocco arcobaleno sul cuscino di un neonato, allora sarà finita.E ci toccherà rifare anche Adamo ed Eva. Ma stavolta neutri e col codice fiscale in mano.