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Ecco perché il latte fresco potrebbe sparire dagli scaffali

La prima società a spingere verso la produzione di un latte pastorizzato a 10 giorni di scadenza è Granarolo

Ecco perché il latte fresco potrebbe sparire dagli scaffali

Potremmo presto dire addio in via definitiva, forse già nel 2023, alla commercializzazione del latte fresco. La linea che le aziende italiane sembrano voler seguire pare essere quella di privilegiare la produzione del prodotto pastorizzato, con scadenza fissata a dieci giorni. Un modo, pare, per contrastare gli sprechi ma anche per seguire i cambiamenti nella spesa delle famiglie italiane avvenuti durante gli ultimi anni.

I primi segnali

A fare da apripista è Gianpiero Calzolari, presidente dal 2009 di Granarolo S.p.a., azienda con la quale collaborano circa 600 allevatori sparpagliati in 12 regioni italiane. La società, fondata a Bologna nel 1957, è uno dei leader del settore a livello nazionale, con un fatturato di circa 1,2 miliardi di euro. La scelta di puntare su un latte con scadenza a dieci giorni dovrebbe innanzitutto allungare del 60% circa la sua shelf-life (letteralmente "vita da scaffale", cioè la vita commerciale del prodotto in esame). E questo per il fatto che, sulla base di alcune stime, la gran parte del latte fresco scade nei banchi frigo dei supermercati o nelle case delle famiglie italiane prima di essere venduta oppure consumata.

"Il mercato ha scelto", commenta il presidente di Granarolo, come riportato da Il Messaggero, spiegando il motivo per cui le aziende stanno scegliendo di orientarsi sulle nuove consuetudini dei consumatori. In genere le grandi catene di supermercati ritirano le confezioni di latte poco prima della scadenza stampata su di esse: spreco e costi dei resi e del successivo smaltimento sono, secondo Calzolari, dei fenomeni da contrastare.

Ecco perché l'azienda ha scelto di puntare sul nuovo latte pastorizzato a dieci giorni che, stando a quanto sostenuto dal presidente, sarebbe indistinguibile da quello fresco (questo il verdetto dopo la prova degli assaggiatori), di cui manterrebbe anche i valori nutrizionali. La risposta dei consumatori dopo l'immissione del latte pastorizzato nel mercato, spiega Granarolo, sarebbe già stata positiva. "La nuova confezione ha un migliore impatto ambientale", dichiara ancora l'azienda nella promozione del proprio prodotto, "il tappo riduce la plastica del 35% e non si stacca dalla bottiglia come prevede l’Unione europea".

Il peso della siccità

La siccità, stando al servizio statistico del Ministero dell'Agricoltura francese "Agreste" avrebbe contribuito a innalzare i costi del latte. La diminuzione di circa il 21% rispetto al normale dei prati da pascolo, in una fase dell'anno in cui le vacche da essi traggono nutrimento, ha comportato delle conseguenze. La scelta di acquistare nuovi mangimi per ovviare a questa situazione non è stata effettuata da tutti gli allevatori, anche a causa dei recenti rincari: in tanti, quindi, avrebbero deciso di ridurre il numero dei capi di bestiame.

Una reazione a catena che porta al rischio di riduzione della quantità di latte e prodotti caseari sul mercato: "A livello globale, la mancanza di latte porterà a una riduzione delle possibilità di produrre burro, panna, cartoni di latte e formaggi. E quando c'è una mancanza di prodotto, indipendentemente dal settore, c'è un impatto sul prezzo", ha dichiarato il direttore del Centro nazionale interprofessionnale dell'Economia lattiera Benoit Rouyer.

Allarme siccità sottolineato anche dal presidente di Granarolo per quanto concerne il nostro Paese. "Quando l’acqua c’è, poi, non riusciamo nemmeno a trattenerla, è una vera assurdità. Per questo è necessario avere più bacini.

Dopo la crisi dell’anno scorso abbiamo sentito tante chiacchiere, ma non c’è stata una vera iniziativa", considera Calzolari, "ci vuole una maggiore tempestività, la siccità è un’emergenza e va trattata come tale".

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