
“Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto.” Uno scarafaggio, come sappiamo, ma stavolta armato. Un attimo: cosa c’entra Kafka con le armi?
Un cavolo, ovviamente: Kafka non progettava droni, non firmava contratti Nato e non costruiva esoscheletri (aveva altri problemi, all’epoca). Invece, mentre l’Europa importa armi americane (le quali comunque, c’è da dire, sono le più avanzate) almeno si consola finanziando un esercito tutto suo, fatto di scarafaggi.
Li ha progettati in Germania la startup SWARM Biotactics, cofinanziata anche da fondi dell’Unione Europea tramite il programma EIC Accelerator, trasformando innocui insetti tropicali (di solito del genere Blaberus) in cyborg biotattici, ovvero esseri viventi modificati con dispositivi elettromeccanici in grado di comunicare dati ambientali in tempo reale, agire su comando e navigare in autonomia o semi-autonomia in ambienti ostili, il tutto senza perdere le capacità locomotorie originarie. Magari, in futuro, equipaggiando anche una piccola arma laser.
Il sistema include un’interfaccia neurale non invasiva che stimola tramite microimpulsi elettrici il ganglio cerebrale, cioè il cervello primitivo dell’insetto, guidandolo ovunque si voglia. A differenza dei droni, non serve un motore né un alimentatore: il sistema elettronico, ultraleggero, è alimentato da una microbatteria a film sottile e montato su una struttura flessibile in grado di adattarsi alla schiena dell’insetto senza comprometterne il movimento.
Il modulo, grande meno di 3 cm2, contiene anche sensori per temperatura, umidità, suoni, gas, in grado di inviare dati via radiofrequenza a corto raggio, oppure tramite rete mesh in caso di swarm multipli (stormi di scarafaggi intelligenti coordinati tra loro). Fantascienza? No, tecnicamente è tutto già in fase avanzata.
E non si parla solo di uso bellico, anzi: la vocazione ufficiale del progetto è civile e umanitaria, per esempio: ricerca tra le macerie, monitoraggio ambientale, interventi in zone pericolose per l’uomo, e la tecnologia è open-ended, cioè si presta a essere adattata anche a funzioni di rilevamento chimico (per sostanze tossiche o esplosive), sorveglianza non invasiva e studio comportamentale in ambienti naturali.
Sarà un caso che gli scarafaggi li abbiamo già visti in ogni salsa nei film di fantascienza? In “Mimic” di Guillermo del Toro diventano mutanti assassini, in “Starship Troopers” sono alieni sterminatori, in “Terra Formars” si evolvono per ucciderci su Marte, in “Bug” (quello degli anni Settanta) si incendiano da soli e si moltiplicano come incubi darwiniani, e poi in altre decine di film (se non sbaglio anche in un episodio di Black Mirror, api robotiche
che poi vengono hackerate e succede un disastro, sennò non sarebbe Black Mirror).
L’idea, in realtà, non è nemmeno nuova. Già da anni si sperimentano interfacce neurali su blatte per capirne il sistema nervoso, adesso si è passati all’applicazione reale. Il primo vero caso operativo di ibridazione tra organismo e macchina, uno scarafaggio programmato per aiutarti (gli animalisti estremi avranno
da protestare, quelli che non usano neppure il DDT). Non ha bisogno di batterie, perché mangia, e non ha bisogno di ruote, perché ha le zampe, e non ha paura della morte, perché è uno scarafaggio e non è Kafka.
Immaginatevi quando di notte, tra qualche anno, magari nella vostra casa in montagna, andrete verso il frigo e vedrete uno scarafaggio camminare sul pavimento e non saprete se è uno scarafaggio qualsiasi, o se è lì per conto della Commissione Europea, o se è lì per salvarvi la vita avendo rilevato una fuga di gas, o se sta cercando un serial killer, e vi chiederete cosa fare: lo schiacciate o lo salutate?