
Sono sicuro che molti dei lettori non vadano a Messa. Chiaramente la loro è una scelta motivata da profonda generosità, cioè preferiscono lasciare il posto agli altri perché tutti in chiesa non ci si starebbe. Comunque, chi oggi partecipa alla celebrazione domenicale ascolta una delle pagine più strane del Vangelo. Gesù racconta di un amministratore incapace. Trovandosi con le spalle al muro per un'interpellanza del suo boss - «Cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione» - riflette: «Che cosa farò se vengo licenziato? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno». Prende allora in mano la situazione e cerca una via d'uscita: «So io cosa fare perché ci sia qualcuno che mi accolga quando sarò licenziato!». Chiama allora i debitori del suo padrone. «Tu quanto devi al mio padrone?». «Cento barili d'olio». «Siediti e scrivi cinquanta». «Tu quanto devi?». «Cento misure di grano». «Prendi la ricevuta e scrivi ottanta». La conclusione della parabola è spiazzante: «Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce». Non solo lo scusa, ma lo loda. Ma come è possibile? E quindi? Si può tutto? Certo che Gesù a volte è proprio strambo! La prima reazione per qualcuno potrebbe essere quella di smontare i confessionali perché la parabola giustifica ogni cosa anche il peggio. Sento già la voce di chi mi dice: «Ma ti sei reso conto che se leggi in pubblico questa pagina resti disoccupato? Tu che scrivi il Confessionale vieni sconfessato proprio dal tuo capo? Invece il Vangelo è divino, secondo me, perché sa incredibilmente provocare l'umano. Provo a rileggere il significato del testo. Chi fa sbaglia, chi non fa critica. Chi fa molto sbaglia molto; chi fa poco sbaglia poco. Non sbaglia mai chi non dice nulla e non fa nulla. Non sbaglia chi non è nulla. «E chi non sbaglia mai perde un sacco di occasioni per imparare qualcosa», disse Thomas Alva Edison, il grande inventore. Il protagonista ha le mani sporche e diventa un modello. Come è possibile? Quando nel motore qualcosa non funziona, bisogna guardarci dentro e metterci le mani. Ma ci si sporca. L'amministratore vede la sua vita bloccata, guasta, rotta. Anche se si sporca, apre il cofano della sua interiorità, controlla i livelli (magari un po' bassi) della sua coscienza, e comincia a cercare i guasti e a sistemare i pezzi rotti. Gesù nel Vangelo non loda la frode, ma la sagacia con cui si affronta il presente per far ripartire il futuro. Quel tale non ha rubato, ma ha sperperato e gestito male. Ci insegna perciò la differenza tra sagacia e furbizia. Sono molte diverse perché implicano due intenzioni opposte. Per il sagace (parola e atteggiamento in disuso) il tempo è superiore allo spazio, l'unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell'idea, il tutto è superiore alla parte, il processo conta più del risultato. Il furbo invece per avvantaggiarsi «divide et impera», usa le mezze verità (più pericolose delle menzogne) perché per lui il risultato conta di più delle persone. Il sagace mette le mani
per sistemare anche sporcandosi, il furbo manipola attento a non lasciare impronte. Il sagace considera che gli amici sono una ricchezza. Il furbo pur di guadagnarci si finge amicone. Il sagace è attento alle situazioni, il furbo è attento solo a sé. Il sagace trae il meglio da ciò che ha, il furbo vuole il tanto. Il sagace impara dagli errori, il furbo li nasconde. Il sagace si nutre di umiltà, il furbo si abbuffa di superbia. L'amministratore nella crisi sagacemente grida aiuto. Forte un intervento di Papa Leone XIV: «Gesù ci insegna a non avere paura di gridare, purché il grido sia sincero e umile, fatto non per ferire, ma per affidarci. Il grido viene da dentro ed è diverso dall'urlare contro. Il Vangelo conferisce valore al gridare: addirittura può essere una forma estrema di preghiera quando non restano più parole. Trattenere tutto logora. Gridare è il primo atto alla nascita ed è un modo per restare vivi. Si grida quando si soffre, quando si ama, quando si chiede aiuto. Si grida sempre per desiderio, perché si crede che ci sia qualcuno che può ascoltarci.
Gridare è una via per non cedere al cinismo, perché è far uscire da dentro una speranza che non si rassegna e continua a credere che un altro mondo sia possibile. In un tempo che premia l'autosufficienza, l'efficienza, la prestazione non c'è nulla di più umano e nulla di più divino del saper dire ho bisogno', soprattutto se non lo si merita».