Gentile direttore Feltri, vivo a Milano e sono una donna che si è sempre curata, ha sempre amato indossare gioielli, anche importanti. Amo il bello, il lusso, e non me ne vergogno. Oggi però mi trovo costretta a rinunciarvi. Dopo gli ultimi episodi di rapine in città, non mi sento più libera di indossare ciò che possiedo. Mi ha scioccato il video della donna rapinata in pieno centro a Milano di un paio di orecchini da 100.000 euro, strappati con una destrezza impressionante. Ormai dovrei mettere i miei gioielli solo in casa, ma che senso ha? Le chiedo: è normale vivere così?
Cristina Brambilla
Gentile Cristina, la tua lettera è di una chiarezza disarmante e fotografa una realtà che molti fingono di non vedere. Tu non parli di lusso ostentato, ma di libertà sottratta. E questo è il punto. Un gioiello non è soltanto un bene materiale. È spesso un oggetto carico di significato: può essere un’eredità di famiglia, un regalo ricevuto da una madre, da un marito, da una moglie, un simbolo di una storia personale, di un affetto, di una memoria. Strappare un gioiello non è soltanto un furto economico: è una violenza, una profanazione dell’intimità di una persona.
Ma ciò che è ancora più grave è che oggi a Milano, e non solo, le vittime vengono educate alla rinuncia, mentre i criminali vengono giustificati. A una donna come te si dice implicitamente: “Non indossare gioielli”, “non uscire la sera”, “evita certe zone”, “non prendere i mezzi pubblici da sola”, “stai attenta a come ti vesti”, “guarda dove cammini”.
Questa non è prudenza: è autocensura della libertà. È adattamento forzato. È privazione. È schiavitù. È perdita di autonomia. È costrizione. Una società nella quale una donna deve modificare le proprie abitudini quotidiane, anche di giorno, per non essere aggredita, rapinata, colpita con un coltello o scaraventata a terra, non è una società libera. E le prime a pagarne il prezzo sono proprio le donne, altro che emancipazione. Il paradosso è che di questa libertà sottratta non parla nessuno. Non interessa ai professionisti dell’indignazione selettiva, non interessa a chi scende in piazza solamente per urlare slogan ideologici, non interessa a chi difende sempre e comunque il carnefice e mai la vittima. Nessuno si scandalizza se una donna deve rinunciare ai suoi gioielli, alle sue borse, ai suoi vestiti, alla semplice possibilità di passeggiare tranquilla o andare a teatro senza paura.
Si preferisce accusare chi denuncia il problema, piuttosto che affrontarlo. Si preferisce parlare di percezioni, di allarmismo, di “casi isolati”, mentre la realtà è sotto gli occhi di tutti: le città stanno diventando luoghi ostili per chi rispetta le regole.
Tu non chiedi privilegi, Cristina. Chiedi normalità.
Chiedi di poter indossare ciò che è tuo senza temere di essere aggredita. Chiedi di vivere senza dover continuamente guardarti alle spalle. È una richiesta sacrosanta. Ed è la dimostrazione che, quando la sicurezza diminuisce, la libertà diventa un lusso.