Sanremo 2023

"In Italia il carcere non serve a rieducare...". Il discorso buonista della Fagnani

La giornalista porta all'Ariston le testimonianze di alcuni detenuti minorenni. "In Italia la prigione serve solo a punire", lamenta. Ma non dice che il riscatto parte innanzitutto dal singolo

"In Italia il carcere non serve a rieducare...". Il discorso buonista della Fagnani

Voci dal carcere sul palco di Sanremo. Una cosa è certa: all'Ariston, per una volta, non si sono udite le solite e ripetitive cantilene autocelebrative alla Ferragni. Francesca Fagnani, co-conduttrice nella seconda serata della kermesse 2023, ha infatti scelto di portare all'attenzione del pubblico un monologo con le testimonianze di alcuni giovani reclusi nel penitenziario minorile di Nisida, conosciuti durante la sua attività professionale. Ad alcune riflessioni interessanti, però, la giornalista ha alternato altre osservazioni velate di buonismo. Accompagnate cioè dalla convizione che lo Stato non faccia mai abbastanza e che le istituzioni debbano compiere anche ciò che spetta invece alle singole persone.

Il monologo di Francesca Fagnani

Nel suo intervento, la conduttrice Rai ha parlato delle storie di ragazzi che "hanno picchiato, rapinato ucciso". Ma - ha proseguito - "se si chiede loro perché, non trovano la risposta che però vorrebbero avere, che cercano ma non esce. Perché è inutile cercarla così e lo sanno. Bisogna andare al giorno, al mese, alla vita prima". Questi giovani, ha quindi spiegato la Fagnani, hanno abbandonato la scuola, "ma nessuno li ha mai cercati". L'idea che quei minori siano finiti dietro le sbarre perché abbandonati dalla società e dalle istituzioni, tuttavia, non ci convince del tutto. Il degrado di alcune zone di periferia è un problema, certo, ma per finire in un carcere minorile si devono in genere avere condotte gravi e non imputabili alla sola emarginazione. Lo testimoniano anche alcuni recenti casi di cronaca legati, per esempio, al fenomeno delle baby gang violente.

"Lo Stato sia più attraente dell'illegalità"

La Fagnani ha inoltre sottolineato l'importanza della scuola, della cultura e dell'educazione, strumenti che contribuiscono all'accrescimento di un senso civico. E ha fatto bene. Ma poi ha aggiunto: "Lo Stato non può esistere nelle aree più fragili del Paese solo attraverso la fondamentale attività di repressione delle forze di polizia. Lo Stato deve combattere la dispersione scolastica e garantire pari opportunità ai più giovani. Lo Stato dovrebbe essere più attraente dell'illegalità". In molte aree degradate del Paese tuttavia ci sono già iniziative di contrasto alla dispersione scolastica (le istituzioni le promuovono attraverso il servizio civile, ad esempio), ma se poi il singolo non desidera prendervi parte, c'è poco da fare.

"In Italia, salvo qualche bella eccezione, la prigione serve solo a punire il colpevole, non serve a rieducare né tantomeno a reinserire nella società chi entra", ha bastonato Francesca Fagnani. Riflessioni pronunciate forse non nel momento più adatto, visto che il dibattito d'attualità è solcato da giorni da polemiche e scontri sui regimi carcerari (in riferimento al tesissimo caso Cospito). "Un autorevole magistrato che ha condotto inchieste importantissime ha detto 'sono contrario allo schiaffo in carcere, nelle caserme, un detenuto non deve essere toccato nemmeno con un dito perché non deve passare per vittimà. Ma la ragione per cui non va picchiato non è questa, ma perché lo Stato non può applicare le leggi della sopraffazione e della violenza", ha poi detto la giornalista a Sanremo, facendo implicitamente le pulci al magistrato Nicola Gratteri (che pronunciò quelle parole il luglio scorso a Vieste).

Le carenze delle istituzioni e la responsabilità del singolo

"Se non faremo in modo che un giovane, quando esce dal carcere, sia migliore di come è entrato, sarà un fallimento per tutti", ha concluso la conduttrice Rai. Tutto giusto. Ma anche qui avremmo ascoltato volentieri un necessario completamento anti-buonista: a fare uno sforzo di cambiamento, magari per supplire anche a eventuali carenze delle istituzioni, dev'essere innanzitutto il detenuto. Il riscatto inizia dalla forza corresponsabile del singolo.

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