
Un casco che impedisca il trauma cranico in caso di cadute violente. Un progetto che diventa ancora più urgente dopo l'ennesimo tragico incidente: questa volta è toccato a Matteo Franzoso, 25 anni, che si è spento a Santiago del Cile, dove era ricoverato a seguito del grave incidente in allenamento sulla pista di La Parva. Il 13 settembre, il velocista genovese ha riportato un importante trauma cranico a seguito di una caduta che gli è stata fatale. Un incidente molto simile era costato la vita l'anno scorso a Matilde Lorenzi, altra promessa dello sci, sulla piste della Val Senales.
Giorgio Novelli, docente di Chirurgia maxillo facciale dell'Università Milano Bicocca e Gabriele Canzi, chirurgo maxillo facciale dell'ospedale Niguarda con il Politecnico di Milano da più di 10 anni stanno portando avanti lo studio sullo sviluppo di sistemi di protezione per la testa, cranio e volto. Tradotto: studiano modelli virtuali che permettano di prevedere la gravità delle lesioni unendo l'esperienza ingegneristica a quella clinica dei dati raccolti in decenni dal Trauma center di Niguarda. Il progetto nasce per migliorare i sistemi di protezione per la testa e per il volto per gli incidenti stradali, su basi scientificamente dimostrate. «Abbiamo studi condotti su migliaia di casi di mortalità stradale - spiega Gabriele Canzi - in cui abbiamo dimostrato che il trauma facciale grave ha delle conseguenze anche in termini di trauma cranico cerebrale». Il Trauma center di Niguarda ha osservato, sulla base delle migliaia di dati raccolti, che si possono riportare traumi cranici gravissimi, anche mortali, per il solo coinvolgimento del volto. Il progetto, per altro, che parte appunto da Niguarda Ospedale Olimpico per i Giochi invernali di Milano-Cortina, potrebbe diventare la legacy delle olimpiadi. «Ci siamo resi conto - continua Canzi- che c'è bisogno di un incremento di sensibilità sull'importanza di adottare dei sistemi di sicurezza più completi, che tengano in considerazione l'importanza della protezione del volto, in tutti gli sport dal ciclismo allo sci al motociclismo. Ma ci sono degli sport in cui sembra impossibile che indossare un casco integrale possa essere compatibile con le performance dell'agonista. Solo l'ex campionessa Isolde Costner ha avuto l'impulso, a seguito degli incidenti dello scorso anno, di riconoscere che lo studio approfondito e la ricerca sui sistemi di sicurezza non possano fermarsi e che se è ovvio che uno sciatore non può scendere con un casco da motociclista o da Formula 1 è anche vero che questa non può essere una giustificazione per fermarsi al caso, e a contemplare la possibilità che i ragazzi rischino la vita durante la loro attività agonistica». Non solo. «Non è poi detto che utilizzare sistemi di protezione più evoluta deteriori le performance. In Formula 1 e nel motociclismo i piloti sempre più protetti hanno addirittura migliorato i loro tempi». «La storia dell'evoluzione dei sistemi di sicurezza - racconta Giorgio Novelli - è segnata da tragedie, è come se si dovesse aspettare le tragedie capire c'è bisogno di strumentazioni più sicure. Nel motociclismo, per esempio, sono stati introdotti i paraschiena dopo che ci sono stati tanti traumi spinali. Ma le innovazioni sui sistemi di sicurezza passiva indossati dagli sportivi hanno spesso delle ricadute in ambito sociale, quindi ne beneficiano poi tutti». La storia insegna che l'evoluzione delle protezioni nasce da una collaborazione molto stretta tra l'ambito medico che identifica quali sono «i punti di lesività», cioè i punti critici da proteggere e lo studio ingegneristico sullo sviluppo di nuovi materiali. «Da tempo ormai virtualizziamo gli eventi traumatici - continua Novelli -: non usare semplicemente, come si fa adesso per i test dei caschi le teste di piombo, ma stiamo sviluppando un modello virtuale che rappresenta in maniera molto accurata il cranio umano, incrociando materiali, applicazioni software e big data dagli ospedali per rendere il risultato scientifico, cioè con una reale validità dal punto di vista percentuale. «Paolo De Chiesa in occasione dell'incidente di Matteo Franzoso ha completato il punto di vista di Isolde Kostner, che noi sposiamo completamente, ovvero che la sicurezza non ha scuse - continua Canzi -. Troppo spesso utilizziamo la fatalità come una scusa per qualcosa di inevitabile. Al termine fatalità si può ricorrere quando si ha la coscienza completamente pulita dell'aver fatto tutto il possibile». Ma manca un ultimo passaggio: ingegneri e medici da soli non possono creare un sistema idoneo a proteggere, e quindi applicabile, senza la partecipazione di una terza figura, lo sportivo. Ogni sport ha le sue caratteristiche. «Se progettiamo un casco da ciclista - continuano Canzi e Novelli - abbiamo bisogno di un professionista che ci indichi le necessità dello sportivo, così nello sci ci sono infinite discipline, ognuna elle quali ha caratteristiche ed esigenze differenti. Serve quindi la competenza del terzo attore che completa e integra perfettamente il risultato».
Il progetto di Niguarda, Biccca e Politecnico è arrivato al prototipo: è stato individuato il materiale interno al guscio in grado di «assorbire» l'energia dell'impatto del cervello contro le pareti della scatola cranica e per il volto, o meglio i modelli e le caratteristiche strutturali che questi materiali devono avere. Adesso c'è bisogno di una spinta, di un'accelerazione, «di un investimento che ci consenta di poter recuperare e arrivare al prodotto».
In sostanza il team alla ricerca di finanziatori, che non siano necessariamente le aziende produttrici, ma anche le federazioni sportive o le fondazioni, e di uno sportivo che permetta di disegnare il casco (protezione dle volto compresa) in base alle esigenze dell'atleta e alle performance agoniste richieste in base allo sport per cui è pensato.