Mercoledì 13 novembre 2024: è questa per la Procura di Milano la data del capitolo potenzialmente più compromettente dell'indagine sulla conquista di Mediobanca da parte di Francesco Gaetano Caltagirone e della Delfin della famiglia Del Vecchio. È il capitolo cruciale perché potrebbe segnare la prima incursione della Procura milanese non solo nel grande risiko bancario ma anche nelle scelte del governo Meloni sul fronte della finanza pubblica e privata. È il 13 novembre infatti che va in scena il passaggio in cui l'inchiesta attribuisce direttamente al governo, nella persona del ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, la responsabilità di avere aperto a Caltagirone e Delfin la porta per il controllo del Monte dei Paschi di Siena, passaggio obbligato per partecipare alla scalata vittoriosa a Mediobanca. È in quel passaggio, secondo i pm, che si dimostra l'alleanza occulta non solo tra Caltagirone e Delfin ma anche tra i due gruppi e il Mef, il ministero dell'Economia e delle Finanze.
Su cosa si basa questa accusa? Le parole ricorrenti sono due «anomalia», «opacità». I pm ammettono che nel comportamento del Mef non sono emersi reati, ma aggiungono «al momento in cui si scrive»; e specificano che a risultare lecite sono solo le scelte prese «di per sé», come a dire che se inquadrate in un quadro più vasto le decisioni del ministero potrebbero assumere rilevanza penale. L'accusa principale è quella di avere violato il decreto che il 16 ottobre 2020 (governo Conte 2, ministro dell'Economia Roberto Gualtieri) stabiliva le modalità di cessione delle quote di Mps rimaste in mano allo Stato dopo il salvataggio della banca senese. La vendita avrebbe dovuto essere realizzata «attraverso procedure competitive, trasparenti e non discriminatorie». Nessuno dei tre requisiti, scrivono il procuratore aggiunto Roberto Pellicano e i suoi pm Luca Gaglio e Giovanni Polizzi, è stato rispettato. A rendere anomala la procedura seguita nel novembre 24 è il confronto con le altre due tranche di azioni Mps messe sul mercato dal governo nei mesi precedenti: il 20 gennaio 2023 e il 26 marzo 2024, quando vennero ceduti rispettivamente il 25% e il 12,5% delle azioni Mps «affidandosi a quattro banche internazionali (BofA, Jefferies e Ubs)» e nel secondo a BofA, Jefferies, Citi e Mediobanca. Quando si trova a dover cedere un altro pacchetto di azioni, il Mef ricorre come nei casi precedenti a una procedura agevolata chiamata Abb, Accelerated bookbuilding, ma stavolta dà l'incarico a Banka Akros, una succursale di Banca Popolare di Milano. Interrogato dai pm il 9 aprile scorso, è stato l'ad di Unicredit, Andrea Orcel, a sottolineare che «Banca Akros oltre a non avere partecipato ai precedenti collocamenti non era certo un soggetto primario del settore, come lo erano stati i precedenti bookrunner, e apparteneva al gruppo che in definitiva ha acquistato il 9%» delle azioni in vendita: oltre al 5% di azioni Mps comprate direttamente da Bpm, c'è infatti il 4% che va a Anima, il fondo di investimento della stessa banca. Commentano i pm: «Pur dovendosi leggere criticamente tali dichiarazioni, in quanto provenienti da un competitor, esse appaiono in larga parte attendibili, perché riscontrate da altre dichiarazioni e da elementi oggettivi di indagine».
Accanto al conflitto di interessi adombrato da Orcel a carico di Bpm, che secondo lui sarebbe stata contemporaneamente venditore e acquirente, la Procura aggiunge altre anomalie: la «insufficienza di disponibilità finanziarie» di Akros, l'aumento in corso di procedura dal 7 al 15% delle azioni Mps in vendita, la «repentina chiusura» della vendita, che cessa alle 19,40 del 13 novembre, mentre la prima era durata fino «a notte fonda (..) allo scopo di ottenere prezzi più vantaggiosi per il Mef».
E qui arriva la frecciata più esplicita a Giorgetti: «Il sostegno del Mef ha posto in rilievo anche la questione del conflitto di interesse relativa alla veste ad un tempo di azionista rilevante di Mps e titolare della golden power, strumento utilizzato in altra recente occasione ma non in questa». Riferimento palese al tentativo di scalata di Unicredit a Bpm al quale il governo ha applicato rigidi paletti per le nozze.