Orgoglio o pregiudizio: l'Italia si divide su Sinner

Scontro sul no alla Davis. Vespa: "Perché un italiano dovrebbe tifarlo?". Mentana: "Il mondo ce lo invidia"

Orgoglio o pregiudizio: l'Italia si divide su Sinner
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Orgoglio o pregiudizio?

L'Italia si interroga, in mancanza di meglio, sul sentimento che dovremmo provare nei confronti di Jannick Sinner, il tennista che ha reso l'inimmaginabile immaginabile, che ha vinto Wimbledon ed è stato per più di un anno numero uno al mondo, cose dell'altro mondo nel Paese del braccino e del «batti lei».

Sinner ci ha portato sul tetto del mondo, ma l'italiano medio prova per lui un misto di rispetto e distacco molto lontano dall'affetto riservato agli altri campionissimi della nostra storia sportiva, ai Valentino Rossi, ai Marco Pantani, agli Alberto Tomba, alle Federica Pellegrini. Per quel suo nome esotico, per quel suo italiano basico, un po' migliorato con il tempo, per quel suo concedersi poco alle derive nazionalpopolari, per quella decisione di spostare la residenza a Monte-Carlo per opportunismo fiscale. E per il suo frequente sottrarsi ai doveri patriottici, come nei disertati Giochi Olimpici di Parigi 2024 e nella Coppa Davis che si svolgerà a novembre a Bologna, e alla cui ha detto «grazie ma no grazie», troppo stanco lui e troppo poco remunerativo il torneo a squadre al quale Panatta e Bertolucci e Barazzutti e Zugarelli un mezzo secolo fa davano sangue e sudore, venendo ripagati con il mito fondativo della loro epopea.

Altri tempi, si dirà. E infatti Adriano Panatta ha non difeso ma giustificato le scelte di Sinner: «Io alla Davis non avrei mai rinunciato. Ma la Davis era al centro dei nostri programmi, le altre scelte ruotavano intorno a essa. Oggi non è più così». E Paolo Bertolucci è stato anche più cinico: «Sinner è un libero professionista e non deve dare conto a nessuno circa la sua attività. Io preferisco di più che Sinner vinca a New York che a Wimbledon e che alzi la terza Coppa Davis».

Resta il fatto che la scarsa empatia patriottica del «professionista» di San Candido, che non ha mai letto di Enrico Toti, a molti non va giù. Ad esempio a Bruno Vespa, che ieri su X non l'ha certo smorzata: «Perché un italiano dovrebbe tifare Sinner? Parla tedesco (giusto, è la sua lingua), risiede a Montecarlo, non gioca per la nazionale in Coppa Davis per prendersi una settimana di vacanza in più. Onore ad Alcaraz che scende in campo per la sua Spagna». Il giornalista di Porta a Porta in realtà dimentica che fu lo stesso tennista murciano nel 2023 a rinunciare alle finali della Davis in casa a Malaga, spianando la strada alla vittoria dell'Italia di Sinner (allora sì). A Vespa risponde un giornalista della sua categoria, Enrico Mentana: «Non fa la Davis - scrive il direttore del Tg La7 - è di madrelingua tedesca, paga le tasse a Montecarlo, gioca solo i tornei più lucrosi, si presta a mille pubblicità, il Codacons vuole che gli vengano ritirate tutte le onorificenze... Ma se tra i giovanissimi il tennis sta soppiantando il calcio è per effetto suo, dello Jannik Sinner che il mondo ci invidia».

Calcio che peraltro non se la passa molto meglio visto che più di un opinionista ritiene che l'Italia abbia fallito le qualificazione agli ultimi due mondiali e rischi di fare lo stesso per il prossimo anche a causa di un'anaffettività generazionale nei confronti della maglia azzurra, un tempo un obiettivo e oggi un fastidio.

L'Italia chiamò, ma trovò occupato. Facciamocene una ragione. O al massimo un torto.

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