“Posso sempre fare meglio”: Maria Callas, eroina tragica come le donne del melò

Una voce incredibile, un personaggio fuori dagli schemi: Maria Callas ha incarnato appieno la forza e il dramma delle eroine della musica classica che interpretava

“Posso sempre fare meglio”: Maria Callas, eroina tragica come le donne del melò

Maria Callas è stata un’artista straordinaria. In tanti ricordano ancora l’estensione della sua voce, la musicalità e le vibrazioni, ma ciò che l’ha contraddistinta è stata la sua capacità di stare sulla scena, le sue doti interpretative. E una vita da eroina tragica, che ha sofferto per amore, come accade alle donne immortali che portò sulla scena: Carmen, Norma, Lucia di Lammermoor per citarne alcune.

Chi era Maria Callas

Classe 1923, il suo nome anagrafico era Maria Anna Sofia Cecilia Kalogheropoulos, successivamente semplificato in Maria Callas. Nacque a New York da genitori greci: il padre gestiva un emporio, mentre la madre, reduce dal recente lutto di un figlio maschio, non accettò immediatamente la nascita di una seconda femmina. Tuttavia, fin dall’infanzia, i genitori, comprendendo la potenza della voce di Callas, la fecero studiare attraverso programmi rigidissimi, sfruttandone il talento per scopi economici. “Ci sono due persone in me. Mi piacerebbe essere Maria, ma devo vivere all’altezza delle aspettative della Callas”, disse durante un’intervista televisiva da adulta. A 5 anni la cantante ebbe però un incidente: fu investita da un’auto mentre correva incontro alla sorella Yakinty nell’atto di attraversare la strada, e restò in coma per un mese. Ma la sua storia incredibile era solo all’inizio.

Il percorso artistico

Maria Callas alla Scala di Milano

Al netto di una leggenda metropolitana - quella sulla sua perdita di peso che alimentava affermando di aver ingoiato una tenia all’interno di una coppa di champagne - e varie vicende amorose - un matrimonio, un amore che la rifiutò e la fascinazione per un amico artista - Maria Callas ebbe una carriera sfolgorante. Fermandosi di tanto in tanto, quando sapeva di non riuscire occasionalmente a raggiungere quella perfezione cui aveva abituato il pubblico. “Non sono mai soddisfatta del mio lavoro. Non apprezzo ciò che ho fatto bene, perché vedo ingrandite le cose che avrei potuto fare meglio”, disse una volta in un’intervista all’Observer.

Il suo percorso artistico vero e proprio ebbe inizio nel 1937, quando, dopo la separazione dal padre, la madre la portò ad Atene con sé e la sorella. Lì Callas studiò in conservatorio, sotto la guida di Elvira de Hidalgo, e l’anno successivo debuttò con Cavalleria Rusticana.

Immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, il soprano tornò negli Stati Uniti, dove incontrò il collega tenore Giovanni Zenatello che la condusse in Italia a interpretare diversi ruoli in varie opere: Gioconda, Turandot, Valchiria, I Puritani, per un totale di 47 ruoli in tutta la carriera. E poi naturalmente arrivò La Scala di Milano con i suoi trionfi: in questo teatro famoso e importante, Callas fu un habitué, e partecipò a tutte le stagioni dal 1958 in poi.

Tra il 1949 e il 1959 divenne la moglie di Giovan Battista Meneghini, imprenditore con la passione del bel canto, che le fece da manager. Nel 1959 si innamorò infatti di Aristotele Onassis, con il quale inizia una relazione: l’anno dopo mise al mondo anche se per poche ore, un bimbo, Omero. Dal 1965 la sua carriera conobbe un calo progressivo, così come la sua storia con Onassis era diventata altalenante, tanto che l’armatore greco sposò nel ’68 la vedova Jaqueline Kennedy. Fino a che, nel 1977, Callas fu ritrovata morta in casa. Il suo corpo fu cremato e inizialmente collocato nel cimitero di Père Lachaise a Parigi, ma due anni dopo la morte, come da sue ultime volontà, le ceneri furono sparse nel mare Egeo.

Di lei restano tanta musica ed emozioni, oltre che la consapevolezza di un’artista destinata all’immortalità nel cuore dei posteri. “È vero che sono una donna passionale - spiegò ancora all’Observer - ma per il lavoro e per la giustizia. Sono piena di passione per l'arte e per il genere umano. La gente forse avrà un'impressione diversa di me, ma solo a causa di ciò che legge sui rotocalchi. La maggior parte delle cose che si scrivono sul mio conto non sono vere. A volte, non riconosco come me stessa la donna si cui si parla”.

Una voce, uno sguardo, un'esperienza unica

Maria Callas e Pier Paolo Pasolini sul set di Medea

Nella seconda metà degli anni ’60 del Novecento, Pier Paolo Pasolini iniziò a realizzare dei film che erano al tempo stesso politici e pregni di rigore filologico - caratteristiche presenti in tutto il suo cinema - e permeati dalla psicanalisi e le riflessioni sull’essere umano. In quest’ottica Pasolini si occupò anche di due opere della Grecia classica: Edipo re e Medea. Per quest’ultimo film volle, nel ruolo della protagonista, Maria Callas.

Così la donna dalla voce angelica prestò il volto a una maga malefica, portatrice di morte e distruzione. Un volto bellissimo quello di Callas, con uno sguardo intenso e bruno. Per questo la Medea di Pasolini, quella portata sullo schermo da Callas, presenta delle valenze estranee al mito. In questo film Callas è una donna che fa appello al suo potere, spinta da altre donne, un personaggio che crede di annegare il proprio dolore recando sofferenza e inoltre cedere alla predestinazione.

Nel cinema pasoliniano anche i colori sono un simbolo: per il regista gli occhi azzurri rappresentano il mistero, l’impenetrabilità, il male. Per questo Callas rovescia in un certo senso il mito di Medea, pur senza dimenticare la lezione della natura, ovvero l’immane delitto rappresentato da una madre che uccide i figli.

Il rapporto tra Pasolini e Callas non si limitò alla sfera professionale. I due divennero presto, durante la lavorazione del film nel 1969 amici e confidenti, intimi anche dal punto fisico, entro quei limiti dettati dall’orientamento sessuale del regista, che era omosessuale.

Eppure la cantante lirica fu restia sulle prime a interpretare Medea: era impressionata ma anche sconvolta dalla visione di Teorema, il precedente film del regista friulano. Delle sue perplessità si fece portavoce Franco Rossellini, che chiese e ottenne che l’artista non partecipasse a scene che potessero essere considerate volgari secondo la mentalità dell’epoca.

Il resto è storia: gli scatti dal set, quelli nei momenti di riposo, in cui figura spesso anche Dacia

Maraini in quanto amica e collaboratrice, e quella frase pronunciata da Pasolini, che fece capire a tutti quanto l’artista fosse unica. “A parte mia madre, è l’unica donna che abbia mai amato”, disse lui di lei.

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