Lo squid game degli “evaporati”. L’incubo che sconvolge il Giappone

Il “fenomeno johatsu” consiste nella fuga dalla vita: si esce dalla luce della routine per entrare nel buio dell’oblio rinunciando a lavoro e affetti

Lo squid game degli “evaporati”. L’incubo che sconvolge il Giappone
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L’incubo è inquietante come uno squid game esistenziale. Fenomeno (per ora) solo made in Japan, con tanto di agenzie specializzate in “evaporazioni umane”. E l’alone di mistero è lo stesso della serie sudcoreana esplosa su Netflix. Intanto il dibattito sui social si popola di voci. E’ bastato rilanciare in rete un articolo dedicato allo “Johatsu” (neologismo che significa “evaporazioni volontarie”) per creare due partiti contrapposti: il primo che rivendica il diritto alla libera “sparizione” e il secondo che sostiene il dovere di cercare chi si eclissa. Una realtà “altra” su cui i siti humanetica e badliterature hanno acceso i riflettori.

“Si tratta di persone che scelgono di scomparire volontariamente dalla propria vita, lasciando amici, parenti e lavoro senza preavviso - si legge nell’articolo -. Non si parla di sparizioni misteriose legate a crimini, ma di un atto intenzionale pianificato nei minimi dettagli, per sfuggire a una realtà divenuta insostenibile”. Un disagio che qualcuno, con lungimiranza affaristica e cinismo, ha trasformato in business. Sono nate così le “yonigeya”, cioè “agenzie specializzate nel facilitare una fuga silenziosa”. Il contesto è quello di una “società a basso desiderio” e “votata alla disintegrazione” come alcuni sociologi nipponici definiscono il “trend psico-antropologico” che nell’era 2.0 starebbe caratterizzando il paese che nel secondo dopoguerra seppe rialzarsi dalla devastazione dell’Enola Gay diventando la seconda economia più potente al mondo. Poi una crisi dalla sintomatologia sempre più pervasiva soprattutto tra le nuove generazioni: meno matrimoni, meno figli, meno consumi, meno investimenti, meno voglia di rischiare. E, dinanzi ai problemi della vita, la scelta di rifugiarsi in dimensione esterna ai canoni ordinari. Raggiungere una nuova terra promessa con l’unica ambizione di rendersi invisibile.

Un’epidemia sociale che pare l’evoluzione contagiosa di quello stesso virus incubato dietro le stanze chiuse dei ragazzi hikikomori, altro disturbo non a caso made in Japan. E’ l’ex colosso dell’attivismo h24 in ogni in campo che ora si guarda allo specchio, scoprendo con paura il riflesso di figli amorfi e demotivati. Sul lavoro come nella vita privata. Sentimenti e passioni azzerati. Ambizioni desertificate e sogni inariditi. Non sempre non in tutti, ma il seme velenoso sta mettendo radici. Che fine fanno i “fuggiaschi consapevoli” giapponesi?”.

“Chi evapora spesso si rifugia in quartieri marginali come Kamagasaki a Osaka, luoghi dove l’anonimato è la regola e nessuno fa domande”; così si chiude col passato illuminato dal sole pallido della routine professionale per aprire un presente nell’ombra di una notte orfana di affetti.

“I motivi che spingono a ricorrere ai “servizi yonigeya” - spiegano gli autori dell’inchiesta in stile “gonzo journalism” - nascono da situazioni di violenza domestica, debiti schiaccianti, fallimenti professionali, vergogna sociale o il peso insopportabile delle aspettative familiari. Nei casi più estremi, qualcuno richiede interventi di chirurgia estetica per rendere il distacco più definitivo”. E la sindrome dell’identità distopica si fa largo tra noi.

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