
I punti chiave
Forse non l’avete mai visto, forse ne avete solo sentito parlare da un amico più grande, o l’avete incrociato in un vecchio aneddoto ripescato da una raccolta di battute dimenticate. Ma esiste, almeno nella memoria di chi conserva l’arte della risata come un bene prezioso, uno sketch di Totò che è un piccolo capolavoro satirico contro la burocrazia e i deliri amministrativi del Novecento italiano. Uno sketch sfuggente, quasi invisibile, e proprio per questo affascinante: Totò sul tram, senza biglietto. E quel biglietto sostituito da un “foglio a colori”.
La scenetta sul tram
L’episodio – mai immortalato in un film, né documentato in modo certo – vive di passaparola e racconti appassionati. Siamo a Roma, presumibilmente negli anni Cinquanta. Il principe Antonio de Curtis, in arte Totò, sale su un tram, elegante e sornione. Il controllore si avvicina, armato di quella solerzia tutta italiana che si accende solo davanti ai doveri altrui. “Il biglietto, per favore”. Totò lo guarda con lo sguardo da beffardo nobile orgoglioso, rovista nelle tasche e con gesto teatrale estrae un foglietto multicolore, forse una cartolina, forse un volantino.
“E questo che sarebbe?”, chiede il controllore, già sospettoso. “Un foglio a colori!”, risponde Totò, con la sua inconfondibile erre arrotata e lo sguardo serio di chi recita l’ovvio. “Non basta? Non è abbastanza moderno per salire sul tram oggi?”. La scena, che sembrerebbe uscita da uno sketch del varietà o da un copione teatrale sfuggito agli archivi, è in realtà un pugno al volto alla burocrazia italiana. Una risata disarmante davanti al grottesco della modernità, dove ogni azione sembra dover essere certificata, timbrata, registrata, possibilmente con un modulo in triplice copia e una marca da bollo da qualche lira.
Un maestro della satira: Totò
Totò, che della satira era maestro silenzioso, non aveva bisogno di spiegare troppo. Gli bastava una smorfia, una pausa, una battuta secca. In questo caso, il suo “foglio a colori” diventa il simbolo di una società che scambia la forma con la sostanza, l’apparenza con il contenuto. Poco importa se il foglietto non vale nulla: è colorato, è stampato bene, magari ha pure il logo. Perché stupirsi se non basta?
Chi conosce Totò sa che questa scena è perfettamente plausibile. Era capace di ridicolizzare i dogmi del vivere moderno senza mai alzare la voce. Lo aveva già fatto con il famoso “lei non sa chi sono io”, con la lettera al direttore, con il vagabondo che si finge ambasciatore per dormire in albergo. Sempre con quel tono a metà tra il serio e il faceto, tra la tragedia e la farsa. Del resto, i grandi comici – e Totò più di tutti – ci hanno insegnato che ridere è cosa seria. Dietro una battuta si può celare un manifesto sociale. E dietro un “foglio a colori”, una denuncia più forte di mille editoriali. Perché nulla descrive il declino di una società meglio di una risata amara.
Tempi moderni
Oggi che il biglietto del tram si fa via app e che i controllori portano tablet invece del timbro, viene quasi da pensare che il foglio a colori non fosse poi così assurdo. Era solo in anticipo. O, forse, troppo sincero per una macchina amministrativa che ha sempre preteso il timbro più che il senso.
Così, mentre ci perdiamo tra QR code e multe telematiche, vale la pena ricordarlo: da qualche parte, tra le pieghe della memoria collettiva, esiste uno sketch dimenticato in cui Totò, senza biglietto, ci ricorda che l’intelligenza non ha bisogno di timbri. Solo di colore. E di coraggio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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