Con un’audace rilettura di Mozart Chick Corea cancella il jazz rock

Il pianista esegue Concerto n.24 K491 e la sua «Suite dei Continenti» per quartetto e sinfonica

Franco Fayenz

da Verona

Dopo una giornata di gran caldo, si sta bene sulle gradinate del Teatro Romano mentre il sole tramonta verso il lago di Garda. Il pubblico affluisce numeroso per assistere alla prima esecuzione italiana, a Verona Jazz 2006, del concerto mozartiano di Armando Chick Corea. Soltanto qualche nuvola lontana fa corrugare la fronte ai pessimisti che, ahimè, avranno ragione.
Il concerto è un compendio della ricerca onnivora di Chick Corea. Oggi, a 64 anni, il compositore, pianista e direttore americano risente più che mai delle influenze fin troppo numerose che condizionarono la sua infanzia, la giovinezza, la fama internazionale conseguita all'improvviso verso la fine degli anni Sessanta, prima con il long playing Now He Sings, Now He Sobs e poi con Miles Davis. Nella sua indole c'è un mixaggio singolare: le origini calabresi mai dimenticate e il difficile adattamento alla way of life americana; la quotidiana insistenza del padre, musicista dilettante, a fargli ascoltare i dischi di Armstrong, Ellington, Tatum, Parker, e nello stesso tempo l'ambizione di educare il figlio all'amore per Mozart, Schumann e Chopin, per cui Armando viene affidato alle lezioni di un maestro assai quotato. Una straordinaria attitudine naturale alla musica fa il resto.
Al concerto di Verona, premiere italiana preceduta dal debutto europeo a Vienna, prendono parte Corea, il suo quartetto con Tim Garland sassofoni e flauto, Hans Glawischnig contrabbasso (un austriaco di Graz), Marcus Gilmore batteria e 30 musicisti della Bayerische Kammerphilharmonie Orchestra di Monaco. In programma, «nello spirito di Mozart» per la celebrazione dei 250 anni dalla nascita del genio salisburghese, ci sono una Suite di Corea dedicata ai sei continenti della Terra (nell'ordine: Africa, Europa, Australia, America, Asia, Antartide, tutti nettamente jazzy) e il Concerto n.24 K491 di Mozart. Corea sceglie di iniziare con Africa, poi esegue il Concerto e nella seconda parte propone gli altri cinque episodi della Suite dei Continenti. Prima dell'intervallo cominciano pioggia e lampi. Il palcoscenico è protetto e la musica continua, ma gli spettatori sfollano. Rimangono 200 irriducibili che accettano una doccia imprevista.
In questa audace incursione mozartiana, percepibile anche nello stile della Suite, Corea cancella le sue esperienze jazz-rock (Return to Forever, Elektric Band), il trio stupendo con Miroslav Vitous e Roy Haynes, e perfino le composizioni-esecuzioni per pianoforte solo For Children che scrisse ispirandosi alla classicità contemporanea. Sul concerto veronese aleggia la grande ombra di Friedrich Gulda: il pianista di Vienna collaborò molto con Corea pur pregandolo inutilmente di lasciar perdere le partiture classicheggianti. Il Concerto K491 viene eseguito imitando le libertà che con Mozart (ma pure con Bach e Beethoven) si prendeva l'ultimo Gulda: interpolazioni, improvvisazioni, alterazioni delle parti orchestrali, sollecitazioni di applausi fra un movimento e l'altro.

Chi non conosce bene l'originale, qua e là pensa addirittura che si tratti di una partitura di Corea scritta «alla maniera» di Mozart. Una serata positiva (a parte la pioggia) che rompe la routine di tanti concerti di jazz e di classica. Chi l'abbia mancata ha altre occasioni prossime a Roma e Perugia.

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