Auditorium Marshall onora Gandolfi dirigendo il «suo» Coro

Romano Gandolfi lo considerava “«l coronamento della mia carriera, non potevo incontrare una compagine più entusiasta». Il direttore alludeva al Coro Sinfonico di Milano Verdi, complesso che aveva fondato nel 1998 e condotto sino alle soglie della scomparsa, nel febbraio di tre anni fa. Ed è in omaggio a questa figura chiave della vita musicale milanese (dal 1971 al 1983 diresse il Coro del Teatro alla Scala) che oggi (ore 20.30), domani (ore 20) e domenica (ore 16), Wayne Marshall torna sul podio del Coro e Orchestra Verdi, nell’Auditorium Cariplo. Sui leggii, il Requiem di Giuseppe Verdi, partitura cara a Gandolfi che l’aveva diretta innumerevoli volte facendone un punto di forza dei due complessi. Che spesso prescelgono proprio il Requiem per gli sbarchi-vetrina. E’ accaduto anche per l’ultima tournée, in dicembre, nell’Azerbaijan. Requiem verdiano dove il Dies Irae scocca come un fulmine, terrificante. Ciò, dopo la preghiera sommessa, un sussurro, dell’attacco. L’Agnus Dei ha il colore dell’affetto, tondo e morbido. E’ invece senza peso, quasi un gioco di intrecci di linee, il Sanctus. Punti di forza del Requiem in programma in questi giorni, è la presenza, oltre a quella del direttore, di un quartetto di solisti di rango. Lo costituisce Chiara Taigi (soprano) Maria José Montiel (mezzosoprano), Francisco Casanova (tenore) e Giorgio Surian basso). Wayne Marshall è direttore principale ospite dell’orchestra. Nato nel 1961 a Oldham (Inghilterra), è pianista, direttore ma soprattutto organista, titolare dell’organo Marcussen della Bridgewater Hall a Manchester. E sappiamo che fra una prova e l’altra con la Verdi, non manca di saggiare anche gli organi della città di Milano. La sua figura è poi legata a due musicisti americani: Bernstein e Gershwin, dei quali ormai riveste il ruolo d’ambasciatore. Interessanti le radici di questo direttore di colore, i cui genitori – da Barbados - approdarono in Inghilterra in cerca di fortuna: colta al volo. Gandolfi aveva a lungo soggiornato all’estero, ad esempio nell’Argentina pre-crisi dove diresse il Coro del Teatro Colon di Buenos Aires. Seguiva le vicende del suo coro con la passione di chi vive senza risparmio l’arte, con la competenza di chi ha respirato per mezzo secolo la polvere del palcoscenico.

E la bonomia dell’uomo di Parma, che dopo una vita trascorsa in giro per il mondo non aveva del tutto dimenticato la «esse» flautata, il gusto per la buona cucina e per la battuta salace (disponeva di un barzellettiere musicale con pochi pari).

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