Non solo moschee. Vogliono il pane ma anche le rose i centri islamici di Milano. Il pane è un luogo in cui svolgere le loro celebrazioni religiose, le «rose» sono unattività sociale e culturale che non si limiti ai precetti dellIslam.
Siamo alla vigilia della grande festa di Id al Fitr, in cui le «moschee» milanesi si apprestano ad accogliere migliaia di fedeli nei centri esistenti o in strutture messe a disposizione del Comune: il campo sportivo della parrocchia di via Cambini ospiterà - come spesso accaduto negli ultimi anni - i vicini della Casa della Cultura islamica. Il Ciak di via Procaccini sarà destinato allIstituto di viale Jenner. Gli altri centri si organizzeranno con i loro spazi: la palazzina di Cascina Gobba, la moschea (in senso stretto) di Segrate, il centro di via Quaranta. Palazzo Marino ha confermato lintenzione di rendere omaggio ai musulmani di Milano (tanti italiani e tantissimi immigrati) con la visita di una delegazione di amministratori comunali nei vari centri. La partecipazione di un rappresentante della giunta sarà loccasione per reiterare una proposta che via Padova ha già avanzato in occasione dellincontro di Palazzo Marino, e che ha intenzione di portare avanti: aule o locali comunali per un «doposcuola» sulla lingua araba e la religione musulmana. Mohammed Danova, dirigente storico della Casa e responsabile del dialogo interreligioso - è lui che ha accompagnato a Palazzo Marino il nuovo presidente del centro, Bounegab Benaissa - spiega il progetto: «I bambini sono il nostro futuro, e noi vogliamo costruire un ponte fra le nostre origini e il Paese che ci ha accolto. Pensiamo chiaramente a corsi sia di lingua araba sia di religione, da organizzare per esempio la domenica. Corsi aperti a tutti, italiani e immigrati. E a una serie di attività dedicate ai giovani, alle donne».
Per realizzare il progetto, nelle more del percorso che porterà a regolarizzare gli spazi a disposizione dei centri secondo il noto piano delle «moschee di quartiere», la moschea chiede aiuto al Comune: «Oggi i nostri centri - dice Danova - non sono attrezzati dal punto di vista degli spazi da dedicare alla didattica. Per questo chiediamo al Comune degli spazi, scuole, aule». Il direttore Asfa conferma e aggiunge: «Le scuole del quartiere non si sono rese disponibili e noi ci rivolgiamo al Comune. Si tratta di unesperienza che abbiamo già provato per 3-4 anni, negli anni Ottanta, in via Giacosa. Il Comune poi chiese laffitto e le spese, e noi non potevamo far fronte. Oggi siamo in grado di pagare tutte le spese e laffitto, e abbiamo insegnanti laureati e qualificati, soprattutto per corsi agli italiani, e non solo ai bambini di lingua araba. É importante dire che siamo aperti a tutti».
Le richieste non si fermano qui.
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